Roma «Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare», annuncia il ministro Calderoli. Rievocando l’immortale John Belushi-Bluto di Animal House, quando tentava di trascinarsi dietro l’intera e sconclusionata «fratellanza» dei ripetenti Delta-Tau-Chi nella guerra contro il rettore del college. E aprendo un nuovo caso nella maggioranza. Il caso Calderoli.
Qui la posta in gioco, però, non è un toga party: in ballo, denuncia il ministro, gran tessitore tra Bossi e Tremonti, c’è addirittura un rischio di «colpo di Stato»; una vera e propria «emergenza democratica».
Ad opera «dei poteri forti, e dei loro maitrasse editoriali» (il ministro intendeva probabilmente dire maîtresse, che però è femminile), «scatenati come non mai nel tentare l’ennesima spallata, per mettere al governo i non eletti e varare una riforma elettorale che possa poi far vincere chi è in minoranza nel Paese». Per questo, avverte, è «troppo importante avere una unitarietà nella maggioranza» che sappia «respingere un altrettanto troppo evidente attacco» dei suddetti poteri forti.
Con chi ce l’ha Calderoli, tanto da scatenarsi in allarmi così terrificanti? L’elenco è lungo: da Emma Marcegaglia a Luca di Montezemolo («scoregge di umanità, che non hanno mai lavorato in vita loro», ha rincarato in serata sul numero uno della Ferrari), dai grandi giornali (Corriere della Sera in testa) ai frondisti «liberal» del Pdl, fino a Cicchitto e Formigoni, passando pure per Casini.
Tutti coloro, insomma, che stanno premendo per forzare il blocco della Lega che impedisce di affrontare con una riforma strutturale il nodo delle pensioni di anzianità. Un tabù, per l’ala del Carroccio di cui Calderoli ieri si è fatto portavoce: «Le pensioni non si toccano, per la Lega non è un capriccio, ma un imperativo».
Ma il messaggio del ministro della Semplificazione è rivolto anche (se non soprattutto) all’interno del proprio partito, alla vigilia della difficile riunione di vertice che si preannuncia per domani a via Bellerio: «I giornali si devono mettere in testa che la Lega non è né Maroni né Reguzzoni, ma è Bossi», l’avvertimento lanciato ad Alzano Lombardo da Calderoli all’indirizzo del ministro dell’Interno. Una riunione, è il tam tam interno della Lega, voluta da Maroni, antagonista interno di Calderoli e capofila di quel sempre più rumoroso partito degli amministratori locali leghisti, la cui rivolta contro i «tagli selvaggi» previsti ai loro danni dalla manovra sta diventando ormai esplicita. Arrivando a contestare, per la prima volta, anche le decisioni del «capo», ossia Umberto Bossi. «Non possiamo sopportare oltre», è il grido di dolore dei sindaci del Nord registrato ieri dal Corriere.
Maroni non si è mai esplicitamente pronunciato, ma sia dai suoi supporter che dal Pdl si accredita una disponibilità del ministro dell’Interno ad affrontare il nodo pensioni, se questo può allentare la pressione sui Comuni. Il confronto di lunedì, dunque, si preannuncia duro. Non a caso Calderoli attacca le «dichiarazioni o proposte a ruota libera, talune prive di significato o addirittura contraddittorie, provenienti dal Pdl e persino dalla Lega», e richiama tutti all’ordine e alla «unitarietà».
E non a caso lancia un appello alla maggioranza «ma anche all’opposizione», dicendosi disposto a «confrontarci» con il centrosinistra, e ben sapendo che anche per il Pd quello dell’innalzamento dell’età pensionabile è un tabù difficile da rompere. Nel frattempo però il ministro tenta anche di recuperare il dissenso dei sindaci leghisti, promettendo che presto ci sarà un incontro con l’Anci e che «chiuso il capitolo pensioni affronteremo quello del territorio, condividendo i tagli con gli enti locali».
Intanto però gli tocca anche fare da scudo umano a Bossi contro l’attacco impietoso di Famiglia Cristiana, che parla di un Senatùr «sempre più stanco e in fuga dai suoi elettori». La reazione di Calderoli è furiosa: «Bestemmie da mercanti nel tempio».
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