Guido Mattioni
da Milano
«Ma tu l'hai visto?». La risposta sono due occhioni grandi e delusi. «No, neanchio lho visto, siamo troppo piccole». Di voce, le due ragazze, ne hanno però da vendere. Gridano «Silvio, Silvio» a squarciagola, cercando inutilmente di saltare. Accontentandosi, alla fine, soltanto di intuire dove si trovi in quel momento il presidente del Consiglio. Che è là dove tutti guardano, là dove ci sono tutte quelle telecamere alzate, tutti quei faretti accesi, tutte quelle bandiere tricolori.
Usman, invece, lui non ha problemi. È un gigante nero - «Vengo dal Senegal», dice - dal sorriso immacolato che svetta e brilla nella notte milanese. Lui, impiegato in una cooperativa che distribuisce riviste, spicca bizzarramente elegante in montgomery giallo e berrettino rosso. Usman non ha problemi perché lui Silvio lo vede benissimo. E lo applaude. Perché?, gli chiedo. «Perché lui è un mito, uno che ha lavorato, uno che ha fatto qualcosa». E poi con un sonoro e sorridente «Ciao!», si allontana per seguire il suo mito.
Sì, può succedere anche questo, in una notte milanese strana come quella di ieri. Può succedere che alla fine la strada ritorni di proprietà di chi ne può vantar diritto. Sfila così la Milano con le facce perbene e le pelliccette a basso prezzo, la Milano con i bambini in carrozzina e i cagnolini di razza imprecisata al guinzaglio. Sfila la città ferita. Sfila la città umiliata. Ma sfila anche la città che non ne può più e si incavola. Gridando, finalmente quello che si porta dentro troppi giorni: «Tutti insieme, tutti uniti contro quattro scimuniti».
È uno degli slogan stampati su un volantino che i volontari dell'Unione commercianti distribuiscono al gazebo di piazza Argentina insieme alle torce di cera e alle bandiere dell'associazione, bianche e orlate dal tricolore. E il bianco, il rosso e il verde sono dappertutto, in questa insolita notte milanese. Sventolano sulle teste della gente che sfila. Garriscono alle finestre aperte e illuminate di chi, sabato scorso, ha visto la via milanese per antonomasia, quella consacrata all'ottimismo mercantile, trasformarsi in un gorgo d'odio, fiammeggiante e denso di fumo nero. E pendono dall'alto, per tutta la lunghezza del corso, come decori di una via del Natale fuori stagione.
Ma il vero spettacolo è la gente, la gente senza nome che si riconosce tra simili e che sembra impazzita, spintonando e facendosi spintonare con il sorriso sulle labbra dai marcantoni del servizio d'ordine. «Fanno il loro lavoro, là in mezzo c'è Silvio», li giustifica con l'amica una signora piccola piccola che non arriva loro nemmeno al cinturone. Eppure, insieme a mille e mille altri come lei, continua a correre, a rischiare di essere calpestata. E soprattutto a gridare: «Presidente, presidente!».
Qualcuna esagera, travisa addirittura la realtà. «È tanto bello, La Russa, che lo vedi da lontano!», strilla una signora in visibilio per aver visto il «colonnello» di An. Forse - si spera - è soltanto una battuta. Di quelle buone. Perché le cattive sono altre. E ad altri sono indirizzate. «Prodi l'è scapà ancora!», sbotta un pensionato quando si diffonde la voce che il Professore e Fassino, dopo i buoni propositi di partecipazione manifestati in mattinata, hanno deciso di dare forfait in zona Cesarini. «Si sarà nascosto in qualche moschea», gli ribatte una sciura che a dispetto della mole corre sorprendentemente come una gazzella.
Corre come tutti verso quel grumo di agenti, riflettori e telecamere dove la gente sa, intuisce o spera che ci sia Berlusconi. È un grumo compatto che avanza come può: dieci metri poi uno stop, altri metri e un'altra fermata.
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