E alla Corte i conti non tornano

E alla Corte i conti non tornano

Claudia Passa

Se per il sindaco Veltroni è il momento di far festa, per la sua amministrazione è ancora presto per cantare vittoria. Al riparo dei riflettori, infatti, la procura laziale della Corte dei conti va avanti. L’affaire Ara Pacis è complesso, e nonostante l’assoluzione, il viceprocuratore generale Maurizio Zappatori ha deciso di impugnare la sentenza e ha già depositato il suo ricorso.
All’origine dell’interessamento della magistratura contabile, un esposto dell’Aduc che portò nel giugno 2002 all’apertura dell’inchiesta, quindi alla citazione in giudizio di due sovrintendenti, tre funzionari comunali e un assessore della Giunta Rutelli, e alla richiesta di condanna al risarcimento danni. Sotto la lente d’ingrandimento del Garade della Guardia di finanza, oltre alla «consegna a urgenza dell’area» alla ditta appaltatrice cinque mesi prima della sottoscrizione del contratto, il passaggio dal progetto definitivo (del ’98) e quello esecutivo (del 2000), che il Campidoglio non ritenne «necessario» sottoporre a nuova approvazione poiché «non presentava innovazioni di rilievo rispetto al progetto definitivo». Peccato che, invece, le «fondazioni a platea» previste inizialmente fossero state sostituite «da un sistema di pali profondi 17 metri».
A maggio 2001, a lavori appaltati e cantiere aperto, arriva la richiesta di ulteriori scavi per verificare l’eventuale presenza di resti archeologici nel sottosuolo. Quattro mesi dopo, la proposta di «revisione progettuale del sistema delle fondazioni». Da qui alla proposta di variante al progetto originario il passo è breve, anche a seguito di successivi ritrovamenti nel sottosuolo; il sigillo del Comitato tecnico amministrativo dei lavori pubblici arriva infatti pochi mesi dopo, nell’aprile 2002.
Il fermo-cantiere costa, e parecchio. La procura è severa, ipotizza la «colpa grave», parla di «gravi negligenze che hanno prodotto danni alle finanze pubbliche», contabilizza al centesimo le richieste di risarcimento. Al dunque, però, il giudice dà ragione al Comune, e in 17 pagine di sentenza assolve i sei citati in giudizio. Motivo, l’«incertezza» che caratterizza gli scavi nel sottosuolo romano, la mancata «rappresentazione nella sua effettiva essenza della differenza dell’esborso». Pur definendo la motivazione per la variante d’opera (ovvero l’imprevedibilità dei ritrovamenti archeologici) «certamente di discutibile veridicità», il collegio afferma che «non è stata chiaramente esplicitata e dimostrata la natura del danno». Quanto alla sospensione dei lavori, «pur valutando che un’ipotesi di presunzione o supposizione di danno possa essersi verificata», il giudice scrive che «il danno eventuale difetti della effettiva concretezza», appare «solo ipotizzato, supposto o presunto».
«Il procuratore ha impugnato la sentenza di assoluzione - spiegano alla Corte dei conti -, anche se l’udienza non è ancora stata fissata». In attesa che la data venga stabilita, il consigliere comunale di An Marco Marsilio ha intenzione di trasmettere alla procura contabile la deliberazione numero 410 della Giunta capitolina, «che ad agosto, con una perizia di variante, ha stabilito un esborso ulteriore di oltre quattro milioni di euro per completare il progetto Meier.

Un aumento di spesa - spiega Marsilio - del 36,27%. Ma si tratta solo dell’ultimo degli incrementi di spesa: in cinque anni l’aumento complessivo sfiora i 10 milioni di euro, per un incremento totale superiore al 266%».

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