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E il dottor Stranamore vuol fare canestro nell’urna

Dopo mille battaglie vinte e perse sul parquet, Alberto Bucci si candida a sindaco di Rimini. Il blues di un leone che sa quando dormire e andare a caccia

Oscar Eleni

I casi strani della vita. Ti chiedono di far conoscere Alberto Bucci, candidato sindaco per il borgo antico di Rimini, proprio mentre sei seduto con l’avvocato Porelli, che gli diede la Virtus, la possibilità di arrivare alla gloria sportiva, l’emancipazione, ad un tavolo di Gaston Gastonette, sul mare di Cannes. A quel tavolo, tanti anni fa, quando, dentro il palazzo di San Siro, vinse lo scudetto battendo l’Olimpia di Peterson, avrebbe dovuto esserci lui, il dottor Stranamore che aveva convinto l’avvocatone, l’ultima grande mente di un basket che non si rinnova e litiga per le briciole, ad inventarsi quello strano premio per Villalta e il gruppo dei campioni con stella.
Viene da ridere a pensarci, sorriderà anche lui che non ritirò mai quella vincita gastronomica sulla Costa Azzurra, ma diciamo che nella sua vita sono state tutte battaglie così, vicino al paradiso, dentro l’inferno, pazienza se poi non c’è stato tempo per riscuotere. Lo sa da quando era ragazzo e la poliomielite avrebbe voluto tenerlo ai margini del gioco, della lotta. Lui duro. Capocannoniere con la sua squadra dell’oratorio, poi a testa bassa nel basket, saltando più alto di tutti, crescendo alla scuola di Beppe Lamberti nel giardino aristotelico della Fortitudo, vagando alla ricerca di se stesso fra Rimini e Fabriano, conquistando promozioni a catena, vincendo davvero la sfida con quei ragazzi che non sono mai stati più alti di lui e mai hanno camminato più dritti di lui.
Un tipo, un uomo, un leone che sa quando dormire e andare in caccia. Scoprire che giocherà questa partita politica per il comune di Rimini è una sorpresa per tutti. Da un po’ di tempo, dopo qualche delusione in panchina, l’ultima quando aveva voluto avventurarsi nel mondo ancor più piccolo del basket femminile a Parma, aveva preferito la rocca tranquilla, una bella famiglia con tre figli ed un mastino dagli occhioni curiosi, fra televisori sempre più raffinati, opinionista per la radio e per un canale privato bolognese. Arguzia, senso dell’ironia, voglia di lotta, sempre, come quando sfidava le folle ululanti presentandosi sul campo con le giacche più vistose, come nei momenti in cui affrontava a muso duro chi pensava di trovarlo spaventato.
Carriera sportiva importante vincendo tanto con la Virtus, ma tanto anche con squadre che i loro scudetti li conquistavano giorno dopo giorno. Diciamo che la sua sofferenza vera è cominciata quando Alfredo Cazzola, amico quasi d’infanzia, gli chiese di farsi da parte, dimenticandosi, dice lui, di una parte del contratto.

Un dolore forte, ma il dottor Stranamore, quando è ispirato e ha voglia di battaglia ricorda il Peter Sellers del grande film sulla «fine di mondo», seppe ricominciare da capo e la coppa Italia vinta con Verona, battendo ancora Milano, fu un altro dei suoi capolavori, come il viaggio fino all’ultimo nanosecondo per l’ultimo scudetto dell’Olimpia che Livorno, la sua Livorno, quella costruita con i D’Alesio, meritava davvero. Ora gli promettiamo attenzione, ma gli giuriamo che non saremo ai suoi comizi. Speriamo che vinca, ma noi lo vorremmo ancora sul campo. Sul legno duro la sua voce sarebbe ancora bella da sentire.

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