E alla festa dell’Arma, Parisi spiazza tutti

Alessia Marani

da Roma

Surreale. L’annuncio del «sangue italiano» caduto a Nassirya arriva dal neo ministro della Difesa, Arturo Parisi, quando prende la parola sul palco di piazza di Siena a Roma per i festeggiamenti dei 192 anni dell’Arma. Un discorso che lascia attonite e confuse le migliaia di persone che gremiscono gli spalti montati attorno all’arena di Villa Borghese dove, in serata, avrebbe dovuto dare spettacolo il carosello del Reggimento dei carabinieri a cavallo. Parisi parla della dedizione dei militari «nei secoli fedeli». Lo fa appena il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha finito di consegnare ricompense e medaglie alla memoria e per merito .
«Oggi - dice Parisi appena la banda musicale termina di intonare l’inno nazionale - ho il privilegio di poter esprimere sentimenti di stima e ammirazione per gli uomini e le donne dell’Arma. Questa sera si rinnova la festa che unisce i carabinieri e i cittadini». Poi «pasticcia» un po’ coi tempi dei verbi: «Sono vicino ai caduti di ieri e di oggi (...) Ora che ci giungono notizie di sangue italiano in Irak. Proprio una settimana fa ero stato a visitare il contingente». Poi va avanti. Nel suo discorso si parla dei «servitori dello Stato», dice che anche il governo è «servitore», che usare questa parola non vuol dire «sminuire» il compito. Saluta, ringrazia, si dice «fiero di essere qui». Sono le 21.
Sulle tribune si capisce poco. «Ma quale sangue? Ma i caduti sono di ieri o di oggi?», il tam tam del dubbio corre da un gradino all’altro. Fiato alle trombe: ancora l’inno nazionale e musica. Parisi ha detto e non detto. Chi è nel pubblico si alza di nuovo in piedi, i bambini cantano sulle strofe di Mameli. Scrosciano gli applausi. «Ma Parisi che voleva dire? Forse si è solo spiegato male». Qualcosa, però, non quadra sul serio. C’è uno strano via vai dalla tribuna d’onore con il capo dello stato maggiore della Difesa, l’ammiraglio Giampaolo Di Paola e il comandante generale dei carabinieri Luciano Gottardo. Improvviso, mentre la banda ancora suona, arriva un monito dallo speaker agli alzabandiera: «Abbassa la bandiera». Forse è davvero successo qualcosa.
Ancora una manciata di minuti, poi l’annuncio secco e glaciale: «In onore dei caduti di Nassirya il carosello verrà annullato». Escono uno dopo l’altro i reparti schierati. Alle 21,30 mentre tra i presenti lo stupore iniziale lascia spazio alla paura - «Mio figlio è in Irak con la Msu (la Multinational specialized unit, ndr), se c’è stato un attentato devono dircelo chiaro e tondo», dice una signora - dal parterre delle autorità arriva l’invito a osservare un minuto di silenzio. È il requiem.
E dagli altoparlanti, finalmente, la spiegazione al mistero: «Un militare è morto, un altro è gravemente ferito, altri tre sono feriti».

La festa è finita. Solo mentre la gente sfolla l’area cominciano a circolare informazioni meno vaghe: un attentato, una bomba saltata a distanza, le vittime sono dell’esercito. Chissà, forse, Parisi poteva chiarirlo prima.

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