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E un giorno Samuel disse «Quel Mourinho è un vero disgraziato...»

Samuel ha una lingua che corre quanto le gambe. Mourinho li ha letti tutti i giornali del dopo Chelsea-Barcellona del 2005: «Basta dare un’occhiata al loro allenatore per rendersi conto della mentalità che ha preso piede ai blues. È impresentabile, un povero disgraziato. Se il Chelsea vince la Champions è una vergogna per il calcio». Eto’o ce l’aveva con José per un finale di partita un po’ velenoso, con Mou agitato e con alcuni dello staff del Chelsea così su di giri da insultare Samuel. Colpa di Mourinho, colpa di qualcuno: Eto’o è un altro campione con un temperamento complicato, è un affare con una testa complicata, uno scambio nel quale non migliora il carattere. Perché Samuel non è Ibra, ma a volte lo ricorda. Dice quello che pensa e pensa quello che non dovrebbe dire.
La storia di Mourinho è una parte del bouquet. Ed è vero che poi a quanto pare abbiano fatto la pace, ma è vero anche che Eto’o è capace di farlo ancora, di non tenersi un pensiero dentro, di sbottare e chi s’è visto s’è visto. Lo fece al Real Madrid, dove giocò tre partite in tutto a 18 anni e si rifiutò di farsi spedire al Deportivo La Coruna: «Io non sono uno schiavo». Decide lui, sempre. Ha deciso di andare al Maiorca, che è sempre stato molto meno del Depor, ha deciso di dire sì al Barcellona, il che pare ovvio adesso ma non quando ci arrivò lui. Adesso deve scegliere: Inter o no, Inter o qualcos’altro, Inter o un’altra lite con Guardiola che l’anno scorso aveva deciso di mandarlo via, ma non ci riuscì e alla fine ha dovuto metterlo in campo per vincere campionato, coppa del Re e Champions. Decisivo, ovviamente. Decisivo coi gol, perché è abituato a farne come pochi. Allora, per dirne una, nelle due finali di coppa dei Campioni vinte dal Barça, lui ha segnato. Guardiola l’ha fatto giocare, l’ha fatto divertire, l’ha fatto vincere. Solo che se provate a chiederlo a Samuel, potete scommettere che lui inverte il beneficiario delle ultime due: «Io ho fatto divertire, io ho fatto vincere». Presuntuoso come tutti quelli che sanno di essere determinanti, permaloso come chi sa di non voler essere messo in discussione. Poi gli altri aggettivi che la Spagna s’è divertita a usare a turno: irascibile, matto, orgoglioso. Convinto di essere sottostimato perché nero. «Devo correre come un nero, per riuscire a guadagnare come un bianco». Sempre con la storia del razzismo. Diverso. Lo si sente lui, lo fa notare agli altri. Eto’o non sopporta, non accetta, non tollera. Si è messo a guidare una crociata contro i dementi che urlano «buh» in campo. «Non si gioca a pallone dove succedono cose così». Ha fatto casino in Spagna ed è arrivato anche fuori: Inghilterra e un po’ anche Italia. Ha tirato dentro tutti i compagni africani divisi in tutti i campionati per trascinare il calcio razzista fuori dagli stadi. «Preferisco che i miei figli non vengano a vedere le mie partite, altrimenti vedrebbero e ascolterebbero cose difficili da spiegare».
I figli, altro capitolo. I figli e quella storia strana che non si può dimenticare: uno dei suoi bambini accusò un amico di famiglia di abusi sessuali e nessuno ha mai capito che cosa fosse successo. È un tipo difficile, nella vita e nel campo. Il pallone è il mezzo per emanciparsi. «Vivo in Europa, ma dormo in Africa», disse pensando alle sue radici. Samuel per certi versi assomiglia ai corridori neri Usa dell’Olimpiade ’60 a Roma: rivendica uno spazio, vuole dignità, vuole parità, cerca riscatto. Ha fame, per questo ha mangiato ogni cosa in questi anni. S’è preso tutto quello che poteva: coppe, coppette, coppone, campionati, premi personali. Due volte calciatore africano dell’anno. Poche per lui altro discendente della categoria di quelli che evidentemente si sentono invincibili. Due sono poche, così come è poco l’oro olimpico. Poco tutto per lui che vorrebbe essere il più forte di tutti tra molti, se non tutti e che per molti davanti, al centro dell’attacco, il più forte lo è davvero. Lo disse a Rijkaard che un giorno gli chiese di entrare a 5 minuti dalla fine e come risposta ebbe una simbolica convocazione in panchina. Allora lo cercò il Milan, pronto a comprarlo quasi a qualunque cifra. Disse di no e non si fece nulla. Disse di no e rimase in Spagna. A Barcellona sono già convinti che abbia accettato l’Inter.

Però ancora non ha detto sì.

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