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E i killer di Borsellino sono ancora liberi

Abbiamo volutamente deciso di attendere che la polemica sulla possibile grazia a Bruno Contrada si consumasse tutta. Abbiamo atteso che l’antimafia militante, quella messa in stato di accusa da Leonardo Sciascia, desse voce a tutto il rituale di indignazione

Abbiamo volutamente deciso di attendere che la polemica sulla possibile grazia a Bruno Contrada si consumasse tutta. Abbiamo atteso che l’antimafia militante, quella messa in stato di accusa da Leonardo Sciascia, desse voce a tutto il rituale di indignazione contro quanti avevano potuto pensare che forse un atto di clemenza verso un uomo di 76 anni condannato per un reato non espressamente previsto dal codice penale (il famoso concorso esterno mafioso) potesse essere condiviso.
Abbiamo pazientemente lasciato che sui grandi organi di informazione molti opinionisti si erigessero a vestali della legalità infierendo su un funzionario dello Stato difeso nel processo dai capi della polizia, dai servizi segreti e dai commissariati antimafia oltre che da esponenti di rilievo dei carabinieri. Insomma volevamo vedere fin dove arrivava questa vergogna lapidatoria da parte di chi, invece, tace e nasconde all’opinione pubblica cose di una gravità assoluta che minacciano la sicurezza democratica del Paese.
Li abbiamo visti tutti sfilare e urlare in difesa della legalità stracciandosi le vesti come gli scribi e i farisei, i famosi sepolcri imbiancati belli di fuori e marci di dentro. Questo coro si è attutito sino a scomparire solo quando Bruno Contrada ha voluto tornare in carcere lasciando l’ospedale e chiedendo non già la grazia ma la revisione del processo. E correttamente il presidente Napolitano ha interrotto la procedura istruttoria su di una grazia mai richiesta. Ma allora dov’è la vergogna di cui abbiamo parlato?
La risposta è semplice e sconvolgente. Mentre tutti vogliono in carcere Bruno Contrada, gli assassini di Paolo Borsellino sono liberi. Avete letto bene. Chi ha deciso la morte di Borsellino e chi lo ha fatto saltare in aria insieme alla sua scorta, è libero. Quasi tutti sono liberi. Certamente lo è Salvatore Cancemi, condannato anche per la morte di Giovanni Falcone, ma lo sono anche Calogero Ganci, Mario Santodimatteo e Giovanni Battista Ferrante tanto per citare i mafiosi più autorevoli. Tutti liberi da anni, sovvenzionati a spese dello Stato insieme ai loro congiunti. Dai farisei non una sola parola di condanna o di stupore verso una gestione lassista e «bucata» della legge sui pentiti. Come fanno la sera questi farisei a mettere la testa sul cuscino e a dormire sonni tranquilli quando sanno che in questi ultimi dieci anni c’è stato un lento e progressivo rilascio di migliaia di mafiosi, ’ndranghetisti e camorristi con un meccanismo di riciclaggio della criminalità organizzata la quale oggi, a giudizio dei responsabili, è più forte che mai? E com’è possibile che giornalisti autorevoli non vedano ciò che è sotto i loro occhi?
È lecito, a questo punto, pensare che ci siano uno o più burattinai che tengono bordone a queste campagne di stampa che tacciono sugli assassini in libertà e urlano contro i poliziotti che gli hanno dato la caccia per una vita. Ma chi sarebbero questi uomini invisibili? Lo dovrebbe sapere l’ineffabile ministro dell’Interno che in commissione Antimafia a chi gli chiedeva conto di queste cose per sapere numeri e nomi precisi confessava candidamente che la sua amministrazione era reticente su questo terreno. Speriamo che sia il Parlamento, in un sussulto di serietà istituzionale e politica, a costringere Amato a fare i nomi e i cognomi visto che la reticenza della sua amministrazione è di per sé una confessione di responsabilità connivente.
Noi, come al solito, speriamo di sbagliarci, ma per intanto resta la vergogna di chi ha taciuto sulla libertà degli assassini di Borsellino e di Falcone e si è invece sbizzarrito sul corpo ammalato di un vecchio poliziotto.

Dovrebbero, questi difensori della legalità che venti anni fa contrastarono anche il decreto Andreotti-Vassalli grazie al quale furono riarrestati i boss mafiosi del maxiprocesso di Palermo istruito proprio da Falcone, chiedere scusa ai propri lettori dei loro silenzi e avere la forza di guardarsi la mattina allo specchio e adeguarsi all’occorrenza.

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