RomaLa «preoccupazione degli operai inglesi», ci mancherebbe, in Lega la comprendono tutti. D'altra parte, sono anni che a via Bellerio ci si batte contro «la globalizzazione selvaggia» e i «lacci e lacciuoli imposti dall'Ue». Ma a schierarsi con i picchetti di Grimsby e contro i lavoratori italiani sono davvero in pochi, soprattutto tra i sindaci del Carroccio. Al punto che Flavio Tosi, primo cittadino di Verona, non esita a parlare di «sciopero senza senso» perché «siamo davanti a un'azienda che ha regolarmente vinto un appalto». E poi, gli fa eco Massimo Bitonci, «non si contano le società straniere che vincono bandi di gara in Italia, anche per l'erogazione di servizi pubblici locali». Secondo il sindaco di Cittadella - noto alle cronache per le ordinanze sugli extracomunitari - bisogna dunque «andarci con i piedi di piombo» perché «non possiamo certo farci la guerra l'uno con l'altro all'interno dell'Ue».
Sul fatto che il caso inglese sia una «cartina di tornasole» sono invece tutti d'accordo. Un «campanello d'allarme», lo definisce il ministro delle Politiche agricole Luca Zaia. Proprio lui che da vicepresidente del Veneto propose tre diverse liste di collocamento: solo esaurita quella dei cittadini veneti si sarebbe dovuti passare a quella degli oriundi e infine agli stranieri. «So bene che ci sono regole europee da rispettare - spiega Zaia - ma quando la crisi si farà dura non potremmo fare a meno di privilegiare l'occupazione territoriale». Tanto che Roberto Cota non esclude affatto che «in tempi brevi» l'Ue possa «aprire una riflessione seria sulla questione». D'altra parte, spiega il presidente dei deputati della Lega, «non possiamo nasconderci dietro a un dito» perché «la reazione inglese è figlia della crisi economica». E «più si aggraverà, più sarà impellente ragionare sul fatto che domanda e offerta di lavoro devono in primo luogo incontrarsi sul territorio». Per dirla con le parole di Mario Borghezio, «bisogna tenere conto dei diritti dei lavoratori locali». Per questo il capogruppo del Carroccio a Strasburgo chiede che «in sede di G8 si ridiscutano gli accordi di Schengen». Perché «oggi che c'è la crisi abbiamo capito che l'idillio europeo funziona per gli extracomunitari ma la mette in quel posto a noi, ai comunitari». Detto questo, «mi dispiace per gli operai italiani» e «se fossi il console italiano urlerei come una gallina». Scettico Zaia, ben più netto il ministro per la Semplificazione Roberto Calderoli: «È necessario valutare una sospensione della libera circolazione in Europa». Insomma, una sospensione di Schengen.
Anche sulle soluzioni, dunque, ci sono approcci diversi in Lega. C'è chi auspica una «riflessione» sulle regole comunitarie (e, aggiunge Cota, «sulle decisioni a venire, come l'ingresso della Turchia nell'Ue») e chi punta su una politica più rigida verso extracomunitari e mercati asiatici. Paolo Grimoldi, deputato e coordinatore del Movimento giovani padani, ricorda come Barack Obama abbia messo tra i primi punti del suo programma «l'introduzione di dazi doganali rispetto alle merci che vengono dal sud-est asiatico». «Spiegatemi perché - ironizza - se lo dice la Lega è il ritorno al medioevo mentre se lo propone Obama c'è Veltroni che fa i salti di gioia». Secondo Grimoldi, dunque, il caso inglese «è l'occasione per riconsiderare le politiche economiche dell'Ue». E anche per Bitonci il punto sta proprio qui. «Capisco la protesta degli inglesi ma - spiega - il livello d'integrazione europea è ormai troppo avanzato per tornare indietro». E poi, ragiona il sindaco di Cittadella elencando i pastifici del Padovano che operano sui mercati esteri, «è un'arma a doppio taglio». Si può agire, invece, «con dazi o barriere doganali sulla qualità dei prodotti che arrivano da mercati aggressivi come quello cinese ed est europeo».
Tosi, pur non cavalcando la protesta degli operai inglesi, non nasconde il rischio che «con l'acuirsi della crisi si arrivi a un conflitto sociale». La soluzione? Il sindaco di Verona è convinto che «purtroppo» si dovrà «applicare con rigore la Bossi-Fini». Insomma, «gli extracomunitari che restano senza lavoro per più di sei mesi devono essere subito rimpatriati». «Altrimenti - aggiunge - salta il sistema». Tosi non ragiona solo sulla necessità di «tutelare la territorialità del lavoro» ma anche sul fatto che «l'italiano ha un tessuto sociale che in un momento di difficoltà lo può sostenere, a differenza dell'immigrato che verrebbe a pesare esclusivamente sulle casse dello Stato».
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