E Kakà litigò con Gattuso: «Non faccio il difensore»

Franco Ordine

«Domenica notte ci ha fatto sentire delle m...». Carlo Ancelotti resta fedele al suo stile e al suo profilo: niente sceneggiate, banditi gli strilli e i processi mediatici, poche parole che pesano spesso come macigni sulle spalle della squadra che prende, incarta e porta a casa. Dopo l’avvilente notte dell’Olimpico e quelle poche parole spese per documentare la sua delusione, Carlo Ancelotti impugna il microfono e parla, per una volta, oltre che al pubblico milanista anche al proprio gruppo. Ci sono «ferite» da rimarginare, rapporti personali da ricostruire, vecchi santoni dello spogliatoio da richiamare in servizio permanente effettivo, tutto accaduto tra l’Olimpico e ieri sera, occasione del grande confronto pubblico, promosso da Galliani, all’ora di cena a Milanello. Il litigio tra Gattuso e Kakà non è un banale diverbio tra calciatori, in uno snodo nervoso della partita. «Dai, rincorri» fece Rino al giovane brasiliano che a Livorno si applicò nella nuova versione. «Non faccio il difensore» gli rispose l’altro. «Allora fallo andare a segnare» chiosò acido Gattuso che deve continuare ad esercitare il suo ruolo di grillo parlante e di fustigatore dei cattivi costumi rossoneri. Se non parla, se non provoca lui, chi lo fa?
Già, esiste anche una questione legata a Costacurta e Maldini. Nelle curve più insidiose della stagione, i due santoni erano soliti intervenire in modo efficace, prendere per il bavero Shevchenko oppure Seedorf e declinare le scomode verità. Adesso sono entrambi fuori. Uno, Costacurta, ha scelto il basso profilo; l’altro, il capitano, è fermo ai box per un noioso infortunio muscolare (potrà rientrare tra due-tre settimane le previsioni). Ancelotti parla, per la prima volta, senza indulgere alla battuta, col sopracciglio alzato, e non risparmia le stoccate. Parla anche dell’argomento Maldini. «Altre volte abbiamo fatto a meno di lui, ma in questo momento ci mancano il suo carisma e la sua personalità», segnala l’allenatore. Che ha da liquidare i difetti del Milan anche con un paio di voti.
«Juve da 10 e lode, Milan da 6» dice e siamo nei pressi della realtà, con qualche eccesso di benevolenza nei confronti dei suoi. «Mancano sicurezza e convinzione: dinanzi alla difficoltà, il gruppo sbanda, invece, di serrare le file» è l’analisi dell’allenatore uscito allo scoperto per la prima volta in modo deciso, netto. «Dobbiamo invertire questo trend, voglio sette vittorie prima del Bayern» è la sua richiesta che sarebbe normale se il Milan si comportasse da Milan contro Ascoli, Siena, Samp, Lazio, Treviso, Reggina e Cagliari prima di rimettere piede in coppa Campioni.
Per dare un senso compiuto alle parole, ci devono essere anche i fatti. Eccoli, i fatti allora, con un bel rimpasto della formazione che prevede due ritorni scontati, Ambrosini (al posto di Gattuso) e Inzaghi (al posto di Gilardino), e altri due ritocchi che qualcosa devono pur significare. Simic in difesa (al posto di Serginho, Kaladze scala a sinistra) e Rui Costa dietro le punte, nel ruolo affidato di solito a Kakà che dopo la figuraccia di Roma deve riflettere.

Oltre che sulla indisponibilità («non faccio il difensore»), sul rendimento della stagione. Anche lui, come il Milan, funziona solo a San Siro dove stasera, contro l’Ascoli, bisogna confermare la tendenza (9 successi su 9 i precedenti) positiva. Una delle poche.

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