E l’Unione si affida al Fattore C

Da meraviglioso comunicatore «beatlesiano» quale senza dubbio è, Silvio Sircana - il portavoce di Romano Prodi - ne ha inventata un’altra delle sue. È andato in tivvù a In Breve e ha assicurato: «Ne sono certo, il fattore “C” di Prodi salverà il governo, che durerà 5 anni». Come si vede siamo nel campo delle scienze esatte e tutti hanno capito subito che la «C» di Sircana (i nostri lettori sono abbastanza smaliziati per non restarne turbati) sta, molto più prosaicamente, per «Culo». È davvero singolare che ad un Paolo Bonaiuti serioso e riservato fino a rifiutare ogni invito televisivo, nell’era dell’Ulivo faccia da contrappunto un portavoce-pop, meglio, un pop-tavoce, che dismette la palandrana pesante dell’ufficialità per scherzare, cantare, mettere in campo il suo apprezzato repertorio dei Fab Four, la sua simpatia e la sua Stratocaster (nel senso della chitarra), per bilanciare i tempi diesel del premier.
Infatti, se Berlusconi era fin troppo pirotecnico, televisivo e sloganistico, Prodi ha i difetti comunicativi che tutti conoscono: si esprime per sospiri e sorrisi curiali, ogni tanto impasta qualche cifra con le palatali e l’accento emiliano, se proprio vuole infiammare una platea, come ha fatto la settimana scorsa all’hotel Radisson per perorare la causa del suo partito democratico, manda un videomessaggio (brividi di emozione in sala). E in quei casi - sia detto per la cronaca - del noto fattore non si vede traccia: al Radisson hanno dovuto riproiettare il video ben tre volte, perché ogni volta mancava qualcosa, prima la voce, poi l’immagine, quindi il passo giusto (alla fine, sullo schermo, il premier parlava con voce da paperino).
Bisogna anche documentare che negli archivi non vi è memoria di queste provvidenziali qualità prodiane, ma piuttosto di una lunga campagna di Francesco Cossiga che lo accostava piuttosto alle figure meno blasonate dell’immaginario popolare meridionale. Il presidente emerito era rimasto colpito da alcune singolari coincidenze nelle alterne fortune dei «nemici» del Professore dopo la defenestrazione del 1998: Marini era stato subito rottamato dal suo partito, D’Alema silurato a Palazzo Chigi, e lui stesso (che non aveva cariche) si era inspiegabilmente fratturato una gamba. Così Cossiga discettava di Prodi per spiegare che in Italia esistono tre categorie di uomini che influenzano i destini altrui: «gli iettatori» (pericolosi per gli altri ma non per se stessi), «i menagrami» (pericolosi sia per se stessi che per gli altri) e i «vindici» (letali per tutti i loro nemici). E aggiungeva: «Prodi non è un menagramo o uno iettatore, è qualcosa di più importante. Il vindice non ha un fluido, ma una forza dell'intelletto con cui colpisce». Che a Prodi questa cosa non fosse andata giù è nota. E che appena ce ne sia l’opportunità il Professore cerchi di accreditare un mito alternativo e positivo è altrettanto certo, se è vero che anche il Corriere della Sera, la settimana scorsa, cercava di collegare persino le vittorie della nazionale alle doti del presidente del Consiglio. Sicuramente Prodi ricorda i problemi di carriera creati da una nomea ingiustamente attribuita ad un membro del suo governo, imputato senza motivo di alcune calamità naturali. La diceria produsse anche una delle più belle battute di Massimo D’Alema, che dopo aver visto Titanic al cinema commentò con il suo miglior humour nero: «Eppure all’epoca Burlando non era ancora ministro, vero?». Sublime. Ecco, nel tempo dell’immagine, il pop-tavoce capisce che la mala fama pesa come un macigno.

Così Sircana si preoccupa più del mito che dell’etichetta, e vorrebbe costruire una leggenda positiva sul suo Professore per propiziare la governabilità della sua maggioranza. Ma l’unico «C» documentabile che Prodi ha avuto, fino ad ora, è aver incontrato Sircana: per mangiare cinque panettoni non basta ancora.
luca.telese@ilgiornale.it

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