E Londra riscopre gli hooligans: botte al derby tra poveri e brutti

LondraLa memoria dei più anziani è subito corsa al 1985. Altro derby londinese e altra guerriglia urbana. Luton contro Millwall, sesto turno di Coppa d’Inghilterra. Palcoscenici irrinunciabili per tifosi-teppisti, figli di un dio minore. Loro che sono abituati ad accontentarsi delle briciole di successo concesse dai club più titolati, confinati ai margini del calcio che conta. La Champions League più che un miraggio è un programma tv, Chelsea e Arsenal sono di un altro pianeta, non solo calcistico ma addirittura sociale. Vuoi mettere le sofisticherie di Kings Road con i sobborghi multietnici di Upton Park? Le zone chic di Londra con i quartieri popolari impregnati di odori afro-asiatici?
A Kenilworth Road, quella notte di marzo, scoppiò il finimondo. Scontri così violenti da indurre i dirigenti del Luton a chiudere il settore ospiti per le successive quattro stagioni. Ma soprattutto ad introdurre – prima volta in Inghilterra – la schedatura dei suoi stessi tifosi. Un’iniziativa che Margareth Thatcher, allora primo ministro, avrebbe voluto estendere su scala nazionale. Ma senza successo. Restò circoscritta a Luton. Nel frattempo i supporters del Millwall continuarono a scalare le classifiche delle tifoserie più violente e razziste. Solo grazie al rapporto Taylor, introdotto 20 anni fa, il governo britannico diede un giro di vite alla violenza negli stadi. Ristrutturazione degli impianti, telecamere a circuito chiuso, steward pagati dalle società, biglietti sempre più cari. Misure che hanno avuto il merito di bonificare gli stadi, debellando quasi completamente la violenza.
Nelle serie minori sono sopravvissute sacche di delinquenza a margine del calcio. E le squadre minori di Londra non sono state un’eccezione. Anche il Crystal Palace ha conservato la sua pessima nomea. Martedì sera però la violenza è tornata d’attualità, trasmessa in diretta tv. E lo sguardo di Gianfranco Zola a fine partita era più eloquente delle stesse fotografie che campeggiavano sui tutti i quotidiani. Uno sguardo smarrito, sorpreso, amareggiato di chi non si diverte più. «Ho giocato sei anni in Inghilterra e da 11 mesi alleno il West Ham. Sono un uomo di sport, e ne ho viste tante nella mia carriera. Eppure non mi era mai capitato nulla di simile». La stampa britannica lo ha già ribattezzato «il ritorno dell’hooliganismo», come se i tifosi del West Ham e del Millwall avessero deciso di riposizionare le lancette del tempo. Quando il calcio inglese era sotto scacco del tifo violento.
Un accoltellamento, diversi ferimenti, scontri con le forze dell’ordine, cori razzisti e tre interruzioni per invasioni di campo. Questo il bilancio del derby londinese valido per il secondo turno di Coppa di Lega. Una partita diventata subito il pretesto per uno scontro tribale che ha colto impreparati sia gli steward di Boleyn Ground che le forze dell’ordine. E dire che già alla vigilia l’incontro era stato segnalato come «ad alto rischio». Tra i due club regna una accesa rivalità di lunga data che neppure la differenza di categoria, e di conseguenza le poche occasioni di confronto, ha saputo sopire. Ora spetterà alla Federcalcio assumere le iniziative necessarie, dopo l’annuncio dell’apertura di un’inchiesta. Mentre il West Ham, tramite un comunicato sul suo sito internet, ha fatto sapere che vieterà per sempre l’ingresso allo stadio ai responsabili, si prevede il pugno duro da parte della Fa. All’orizzonte una forte multa, o addirittura la squalifica del campo. Improbabile, viceversa, la detrazione di punti in classifica, come suggerito da qualche commentatore.

Gli incidenti sono avvenuti in occasione di una partita di coppa e non di Premier League. Ma la notte di violenza lascia dietro di sé un timore inquietante, che dopo anni di sicurezza lo spettro dell’hooliganismo incomba sugli stadi inglesi.

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