E nell’anno dopo la crisi gli Usa tornano made in Italy

FirenzeModa punto e a capo: ieri sera a Firenze, nelle sale di Palazzo Gianfigliazzi, splendida dimora riportata all'originale bellezza dopo un lungo restauro, si respirava l'atmosfera eccitante che vissero cinquant'anni fa pionieri come Giovanni Battista Giorgini, artefice delle prime sfilate fiorentine organizzate per far conoscere la moda italiana a un ristretto gruppo di buyer americani. E proprio i compratori statunitensi sono stati accolti dall'ambasciatore Umberto Vattani, presidente dell'Istituto per il commercio estero, da Patrizia Giarratana del ministero dello Sviluppo economico, da Ambrogio Brenna, assessore alle attività produttive delle Regione Toscana e dal sindaco di Firenze Matteo Renzi per inaugurare un nuovo corso dopo l'annus horribilis.
Fra i 130 ospiti c'erano, infatti, titolari e rappresentanti di una ventina di retailer indipendenti - questo canale rappresenta il 65 per cento del made in Italy venduto negli Usa per l'intero comparto moda - provenienti da diverse parti degli Stati Uniti. Fra loro, Jack Mitchell, titolare di negozi anche a New York, che prendendo la parola ha confermato la fiducia dei compratori americani nella nostra moda maschile, protagonista da oggi della 77ª edizione di Pitti Uomo. Un dinner party elegante e ricco di verità perché quando si parla di stile non si discute solo di moda ma anche, fra l'altro, di cibo - il menu era improntato alle ricette più gustose della cucina toscasa - e di accoglienza.
Lo spirito che anima, del resto, la serie d'interventi promossi dal Ministero per lo Sviluppo economico e realizzati dall'Ice con il titolo "Se parli di moda, parli italiano" per ribadire la bravura di stilisti, industriali, produttori di tessuti e allo stesso tempo la bellezza delle nostre città. Non a caso, la campagna pubblicitaria mostra l'affascinante Eva Riccobono, top model siciliana famosa in tutto il mondo, fotografata da Alan Gelati sullo sfondo dei luoghi più eccelsi della capitale.
Con un investimento di 3,5 milioni di dollari si riparte proprio dall'America, paese verso cui esportiamo il 50 per cento della moda maschile, quinto mercato in ordine d'importanza e primo fra i paesi extraeuropei, e dove la moda maschile italiana da gennaio a settembre del 2009 ha perso il 22,8 per cento di fatturato. Tempestiva perciò l'azione del governo mirata a stimolare i consumatori americani anche se molte maison italiane già sono molto attivi in tal senso.
Un esempio? Allegri, celebre griffe d'impermeabili ad alta tecnologia, ha organizzato un concorso per giovani stilisti in collaborazione con la High School of Fashion Industries di New York. Stivali da pioggia e ombrelli creati da questi giovani sono stati ospitati in tre vetrine di Saks Fifth Avenue nel mese di novembre 2009. Eric Jennings, Fashion Director di Saks Fifth Avenue, annuncerà domani nello stand dell'azienda italiana a Pitti la messa in produzione in serie limitata per la prossima stagione invernale di alcuni progetti di High School of Fashion. Ben fatto quindi, ma il mercato italiano in verità reclama la stessa attenzione.
«La situazione è difficile ma non drammatica e noi vorremmo ancora più collaborazione - spiega Beppe Angiolini, presidente della Camera dei buyer - perché siamo l'ultimo anello della catena ma sicuramente importantissimo. È giunto il momento di unirsi per difendere il made in Italy, di fare più sinergia e di stabilire maggiore reciprocità». Di fronte a una svolta epocale che esige il rimettersi in gioco dopo la grande crisi, occorre grande attenzione e molta positività, considerando che il mercato italiano è quello che ha retto meglio grazie anche alla bravura dei negozi multimarca che hanno fatto del loro meglio per offrire prodotti ad elevato contenuto e prezzi ragionevolmente accessibili. «È giusto preoccuparsi dei mercati globali, ma è altrettanto importante non trascurare quello italiano - incalza Federico Giglio, titolare di bellissime boutique a Palermo - assistiamo a eccessivi anticipi nelle consegne con conseguenza catastrofiche: le cose invecchiano a grande velocità nei negozi e soprattutto non sono in sintonia con i reali tempi d'acquisto dei consumatori. Bisogna tornare a vendere nei periodi giusti, saldi compresi.

Dieci anni le liquidazioni arrivavano a stagione conclusa: fine agosto e fine febbraio. Solo tornando a scandire gli approvvigionamenti e le vendite con ritmi più consoni possiamo anche evitare di riempire i nostri negozi di roba inutile».

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