E Obama conferma «Barlumi di ripresa»

«Bocche cucite. Fino a nuovo ordine». La Federal Reserve impone alle banche americane di non rivelare l’esito degli stress test cui sono state sottoposte nelle scorse settimane, ovvero delle prove simulate per verificarne la solidità in caso di prolungamento della crisi economica.
Il divieto categorico dell’istituto guidato da Ben Bernanke, reso noto ieri da Bloomberg che ha raccolto le indiscrezioni da fonti vicine al caso, non è un atto d’imperio irrazionale. Al contrario, ha una precisa spiegazione: gli istituti potrebbero sfruttare l’appuntamento con le relazioni trimestrali per sbandierare agli analisti e, soprattutto ai mercati, la «promozione». Cioè la capacità di resistere, sotto l’aspetto patrimoniale, a nuove tensioni. Come dire: abbiamo voltato pagina, siamo in grado di farcela con le nostre gambe, il peggio è passato.
Ma, contrariamente alle voci circolate giovedì, l’intervento della Fed fa sospettare che non tutte le 19 banche scrutinate abbiano retto all’esame sotto sforzo. Qui nasce il problema. Perché anche un semplice «no comment» opposto a un’eventuale domanda sull’andamento dello stress test verrebbe interpretato come un’ammissione di bocciatura. Assai sgradita ai mercati e agli stessi contribuenti Usa, con buona probabilità chiamati ancora a rafforzare il capitale della banca in crisi.
La stagione delle trimestrali bancarie è del resto ormai alle porte. Subito dopo la pausa pasquale, martedì prossimo, è previsto l’esordio di Goldman Sachs. La merchant bank finita nella centrifuga trancia-utili dei subprime, avrebbe intenzione di annunciare tra qualche giorno, secondo il Wall Street Journal, un nuovo collocamento di azioni per ripagare anticipatamente il debito di 10 miliardi di dollari contratto con le casse federali. Può forse una banca batter cassa ai privati se non ha superato lo stress test? Certo che no. Dunque è lecito pensare che Goldman ce l’abbia fatta. Resta da capire quale risultati abbiano ottenuto le altre banche, tra cui JpMorgan Chase (trimestrale il 16 aprile), Citigroup (il 17) e Morgan Stanley (il 21).
Imposta la sordina agli istituti, la Fed intende assumere il ruolo del regista nella divulgazione degli stress test, i cui esiti dovrebbero essere resi noti in modo coordinato entro la fine del mese. Insomma, nessun movimento in ordine sparso potenzialmente pericoloso per le stesse banche e per gli investitori. È probabile che anche di questo abbia parlato ieri Bernanke nel corso del colloquio avuto con il presidente Barack Obama e con il segretario al Tesoro, Tim Geithner (nella foto). L’ex governatore della Fed di New York punta sugli stress test come un passaggio fondamentale per ristabilire la fiducia nel sistema finanziario Usa, scosso alle fondamenta dall’ammontare degli asset tossici, pari a 3.100 miliardi di dollari in base alle ultime stime dell’Fmi (900 miliardi sono invece riconducibili ad Asia ed Europa). Scartata l’opzione bad bank, Geithner ha scelto una formula ibrida Stato-privato per ripulire i bilanci dalle tossine.
Senza la disintossicazione delle banche la ripresa non sarebbe d’altronde possibile, anche se Obama ha affermato ieri che l’economia mostra «barlumi di speranza. Stiamo iniziando a riscontrare dei progressi - ha aggiunto - e se riusciamo a portarli avanti senza esitare di fronte alle difficoltà, mi sento assolutamente convinto che rimetteremo questa economia in carreggiata».

I germogli arrivano dal mercato immobiliare e dai finanziamenti alle piccole imprese, ma molto resta da fare. Nuove iniziative, ha annunciato il presidente, verranno infatti prese dal governo nelle prossime settimane. Il deficit federale ha intanto raggiunto nel primo semestre fiscale la cifra record di 956 miliardi.

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