E ORA CHIEDETE SCUSA A ERBA

E adesso qualcuno chieda scusa a Erba. Per settimane la città è stata descritta come un covo di razzisti. Ricordate? Schiere di inviati scatenati, telecamere nascoste che s'aggiravano per la Brianza, soloni da salotti tv sempre pronti a sputare sentenze fin troppo facili sul Nord intollerante. Sembrava che dietro ogni artigiano si nascondesse un calderoli al cubo, dietro ogni idraulico un membro del nuovo ku klux klan al sapore di busecca e cassoeula, dietro ogni panettiere un possibile giustiziere munito di cappio e conseguente bava alla bocca.
Erba nei mesi scorsi ha dovuto ufficialmente chiedere scusa ad Azouz. Il motivo? Per qualche ora si era sospettato di lui. E lui, su quei sospetti, si è costruito una carriera di ben pagati passaggi televisivi. Ha venduto i diritti d'immagine dei funerali della moglie. Ha fatto amicizia con Fabrizio Corona, s'è messo in coda per entrare nell'agenzia di Lele Mora. Sognava un futuro sulle passerelle della moda o nei reality show. Comportamenti non proprio da parente in lutto. Eppure nessuno poteva dire niente. «Poverino, ha sofferto così tanto». «Dovete solo chiedergli scusa». E infatti: gli abbiamo chiesto scusa, coprendoci il capo di cenere con vaghi sensi di colpa.
Ora, però, veniamo a leggere sui verbali che Azouz Marzouk descriveva le settimane dopo il massacro come il periodo più bello della sua vita. Diceva: «Che mi frega delle bare». Vendeva le foto dei suoi cari morti secondo un preciso tariffario, si vantava di essere ormai richiesto come un gigolò. Infine, per non farsi mancare nulla, faceva sesso con un'amica della moglie, senza avvertire né dolore né senso di colpa. E neppure lo squallore: il sesso lo facevano in auto come in un filmetto di serie B.
Questo è il vero Azouz. Mentre giurava davanti alle telecamere di non avere mai spacciato continuava a spacciare («Non ci prenderanno mai»). Mentre faceva finta di commuoversi, in realtà gioiva («È il periodo migliore della mia vita, che me ne frega delle bare»). Mentre diceva di non conoscere la droga continuava a drogarsi («Ho pippato tutta la notte»). Altro che denunciare Erba. L'unica erba che doveva denunciare era quella che spacciava. Con la minuscola, come minuscolo uomo ha dimostrato di essere lui.
Eppure lo schema funzionava così bene, anche nelle trasmissioni tv. Il povero tunisino e la feroce Brianza, ciak si gira. In fondo è facile trovare qualcuno che liquidi in fretta il Nord con analisi sociologiche su carta da salumiere. È successo nei giorni scorsi anche con Cittadella: l'iniziativa di un sindaco a tutela della sicurezza è diventato il pretesto per ritornare sul luogo comune del Nord beota e razzista. Ci hanno intinto un po' tutti la penna. E così facile, no? Suona bene, fa persino chic.
Invece no: il Nord non è razzista. Con gli extracomunitari convive e lavora. Offre chance a tutti coloro che le vogliono cogliere. Persino ai tipi come Azouz, che vengono da noi per spacciare morte e hanno un'umanità tale da considerare l'uccisione del figlio di due anni come l'inizio del «periodo più bello della vita». Persino a tipi così, che poi fanno le vittime della xenofobia.

Macché xenofobia: le uniche vittime in questa vicenda sono stati il bimbo e le tre donne. E anche un po' la città di Erba, offesa e costretta a chiedere scusa. Ora qualcuno chieda scusa a lei. E a quella gente perbene che davanti a una bara non direbbe mai «che me ne frega».

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