E ora Di Pietro "pensiona" l’alleanza di ferro con Bersani

La spaccatura con il Pd è realtà, il leader Idv boccia la riforma della previdenza: "Per mettere le mani nelle tasche degli italiani bastava un governo di malfattori"

E ora Di Pietro "pensiona" l’alleanza di ferro con Bersani

Roma - La manovra Monti non è ancora approdata in Parlamento, e la maggioranza che sostiene il governo del Professore già rischia di perdere un pezzo.

Antonio Di Pietro infatti annuncia che i suoi parlamentari potrebbero non votare la «stangata» sulle pensioni. Il suo partito è un pezzo numericamente non essenziale per la tenuta dell’esecutivo, certo, e comunque già incerto e freddino. Ma le ripercussioni che una eventuale defezione di Italia dei Valori può avere nel Pd sarebbero pericolose, tanto che Mario Monti ieri ha cercato di mettere le mani avanti e ha invitato anche l’ex pm di Mani Pulite a partecipare al giro di consultazioni che avrà oggi con le forze politiche.

Di Pietro però non ha intenzione di farsi blandire né di accorciare le distanze tra sé e questo governo: «Ringrazio il premier Monti che ci ha invitato», manda a dire, «però noi dell’Idv abbiamo dato una fiducia tecnica e chiediamo di poterci incontrare in commissione e in aula alla Camera, nelle sedi proprie dove si illustrano i provvedimenti». Lui all’«inciucio» Pdl-Pd-Udc non partecipa, questo è il messaggio che Di Pietro non si stanca di trasmettere da giorni. «Noi siamo fuori dal club del tunnel», dice irridente alludendo al famoso incontro notturno e plurismentito tra Alfano, Bersani, Casini e Monti. Un messaggio che provoca una inevitabile orticaria nel Pd. Per rendere ancor più chiara la sua distanza, Tonino si è organizzato in quattro e quattr’otto una giornata alla larga da Roma, oggi: un dibattito a Napoli la mattina, un fondamentale impegno al Comune di Tufara (nel suo Molise) il pomeriggio. «Niente accordi sottobanco e in sagrestia tra partiti e governo», maramaldeggia.

 

Il capo di Idv ha scelto non a caso il terreno più sensibile a sinistra, quello su cui i sindacati (Cgil in testa, «non c’è traccia di equità» dice la Camusso) ribollono e su cui il Pd è in grande sofferenza, per differenziarsi: «Se il governo metterà le mani sulle pensioni - ha annunciato ieri il capogruppo al Senato Felice Belisario - bloccando l’indicizzazione di quelle minime o colpendo chi ha pagato per quarant’anni i contributi, il nostro voto non potrà che essere contrario. Specie se non verranno toccati i patrimoni, le rendite finanziarie, i capitali scudati».

Niente di personale, nella contrarietà dipietrista a toccare l’anzianità. Anche se il nostro ne sa qualcosa, essendo andato in pensione a 44 anni da magistrato e ricevendo dall’Inpdap, dal lontano ’95, un assegno mensile di circa 2mila euro netti (come scrive Mario Giordano su Le sanguisughe). Piuttosto c’è la volontà di posizionarsi in modo da guadagnare consensi a sinistra, facendosi portabandiera delle battaglie di Cgil e Fiom (d’altronde il principale consigliere di Di Pietro in politica economica è Maurizio Zipponi, ex Prc ed ex Fiom) e di strattonare il Pd. Che si troverebbe in evidente difficoltà a sostenere la manovra di Monti se si ritrovasse contro i sindacati (con la Cisl costretta ad inseguire la Camusso) e pure l’alleato di Vasto. Il rischio di cedere consensi elettorali e spicchi fondamentali di constituency sociale a Sel, Idv e persino alla Lega allarma gran parte dei dirigenti del partito bersaniano.

Anche se, per ora, tutti si rendono conto che il sostegno alla manovra è inevitabile: persino il battagliero Stefano Fassina ieri lo ammetteva: «Il programma del governo Monti non è quello del Pd: se voteremo qualcosa di diverso è perché in una situazione di emergenza ci siamo assunti la responsabilità di sostenere questo esecutivo».

Tutto comunque dipenderà da cosa quella manovra alla fine conterrà. «Occorre avere ben chiaro - avverte il lettiano Francesco Boccia, uno dei più «filogovernisti» del Pd - che la riforma della previdenza non può essere fatta per far cassa, per quello sarà inevitabile una misura patrimoniale. La riforma deve servire a dare nuove opportunità ai giovani, di qui l’idea del reddito minimo garantito e del salario di inserimento che consenta di dare più certezze ad almeno 4 milioni di giovani». E anche i dipietristi, pur alzando la voce ora, si riservano di scegliere come votare poi: «IdV prima leggerà le misure, e poi giudicherà», dice l’ex pm.

Che però aggiunge: «Se tutto si dovesse ridurre ad andare a prendere i soldi agli italiani, magari eliminando le pensioni e aumentando le tasse alle fasce più deboli, allora non c’era bisogno di un governo di professori, bastava un governo di malfattori». Tradotto dal dipietrese: tanto valeva che restasse Berlusconi.

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