E le piccole imprese non vogliono pagare il conto

RomaQuello di oggi è il tavolo decisivo per la riforma del mercato del lavoro, ma in agenda non c’è l’articolo 18. Il tema che oggi affronteranno il ministro del Lavoro Elsa Fornero e le parti sociali sono gli ammortizzatori sociali, partita delicatissima e non solo perché il ministro punta a cancellare la cassa integrazione straordinaria sfidando la contrarietà dei sindacati. La trattativa sugli ammortizzatori serve soprattutto a decidere a chi toccherà pagare il conto della riforma.
Principali candidate sono le piccole aziende, gli artigiani e i commercianti che, secondo le ipotesi circolate negli ultimi giorni, dovrebbero pagare contributi simili a quelli delle grandi aziende per la cassa integrazione. E questo per finanziare il nuovo sussidio di disoccupazione generalizzato che, nei piani di Fornero, dovrebbe sostituire gli ammortizzatori in vigore. Ma anche nel caso in cui la grande riforma post fordista non vada in porto, i soldi dei piccoli dovrebbero servire a pagare la cassa integrazione in deroga. Quella istituita dagli ex ministri Maurizio Sacconi e Giulio Tremonti per tamponare gli effetti della crisi, garantendo un reddito ai lavoratori di aziende in difficoltà, ma non coperti dalla cassa integrazione. Per ora la cassa in deroga è finanziata interamente a carico della fiscalità generale e costa all’incirca due miliardi all’anno. A partire dal 2013 lo stato non ci metterà più un euro e il conto dovrebbe passare tutto sulle Pmi che dovrebbero essere le principali destinatarie.
Il fatto è che Rete imprese non ci sta e oggi si presenterà da Fornero con dati che smentiscono chi sostiene questa tesi. La cassa in deroga è utilizzata comunque in gran parte dalla grande impresa rappresentata da Confindustria. Il 44% totale delle domande, contro il 18,2% dell’artigianato, il 33,4% del commercio.
Quindi si tratta di un «falso problema», spiega Cesare Fumagalli, segretario nazionale di Confartigianato. «Intendiamoci - spiega - a noi va benissimo il riordino degli ammortizzatori, ma non deve essere un costo per le imprese». Soprattutto le piccole che non usano ammortizzatori nella stessa misura e secondo le stesse modalità delle grandi. «Le storie delle nostre aziende - aggiunge Fumagalli - sono di sospensioni dal lavoro per un massimo di tre mesi. Poi, se non riesce a rimettersi in piedi, una piccola impresa non c’è più. Non abbiamo situazioni come Pomigliano, Mirafiori, non siamo Alitalia con sette anni di cassa integrazione. Benissimo il passaggio ad un ammortizzatore universale, ma il costo che le aziende pagano deve essere commisurato al rischio». In altre parole, i piccoli non possono pagare come le grandi industrie.
Anche perché artigiani e commercianti hanno già dei conti in attivo.

Il saldo i contributi pagati e le spese per le prestazioni per malattia e infortuni per le piccole imprese sono in attivo di circa 3,5 miliardi. «Già quelli basterebbero a coprire la nostra parte di contributi». Se si aggiungeranno altri carichi il welfare per le Pmi diventerà insostenibile e poco efficace.

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