MilanoOstinato vaso di coccio finito in un pasticcio visibilmente più grande di lei, ieri sera Annamaria Fiorillo - pubblico ministero presso la Procura dei minori di Milano - si vede piombare addosso la decisione del Consiglio superiore della magistratura. Per lei, niente pratiche a tutela. Il Csm - che di pratiche a tutela di questo o quel magistrato ne ha sempre aperte a ogni stormir di fronde, al punto da meritarsi linvito a maggior parsimonia da parte del suo presidente Giorgio Napolitano - in questo caso non si muove. La Fiorillo non merita la mobilitazione della categoria in sua difesa. E ci sono anzi tutte le condizioni per cui a finire nei guai adesso sia lei, per quella pensata di andare a sostenere le proprie ragioni - nel momento clou della sua polemica contro tutti e tutti - davanti alle telecamere dellAnnunziata, infischiandosi del riserbo cui laveva appena richiamata la sua capa, il procuratore Monica Frediani.
Da vittima a potenziale colpevole, la botta per la cinquantasettenne dottoressa è forte. E lo testimonia in parte la dichiarazione cui si abbandona in serata con una giornalista dellAnsa: «Penso sia molto utile per tutti noi magistrati non archiviare la mia pratica se non dopo una riflessione e un confronto perché la mia vicenda ha un valore simbolico che riguarda questioni più grandi e cioè il rispetto della magistratura e il ruolo dellautorità giudiziaria nel nostro sistema». La comprensione è ardua perché in realtà larchiviazione cè già stata, la riflessione e il confronto auspicati non ci sono stati, e insomma il «caso Fiorillo» è chiuso, o quasi. La verità, su quel che accadde nella notte in cui Ruby Rubacuori fu accompagnata in questura, resta quella sancita nelle dichiarazione di Edmondo Bruti Liberati: «Procedura regolare». Punto e fine.
Adesso che - dopo Bruti Liberati, Ilda Boccassini, il Viminale, il questore, la procuratrice Frediani - pure il Csm lha scaricata, una cosa va detta a difesa della dottoressa Fiorillo: che è in buona fede. Che è del tutto verosimile che un meccanismo classico della memoria umana le abbia consegnato, dei fatti di quella notte, un ricordo molto più vivido di quel che fu in realtà. Strada facendo, si è convinta - in modo sempre più netto - di essersi opposta con tutte le sue forze alla consegna della procace diciassettenne alla consigliera del Pdl Nicole Minetti. In questa - per così dire - evoluzione della memoria, il «non ricordo di avere autorizzato» messo a verbale a botta calda dalla Fiorillo si è trasformato in un «ricordo di non avere autorizzato»: e cè una bella differenza. Ma tutto allinsegna della sincerità, della convinzione di essere vittima, come scrisse nella sua memoria, nientemeno che di «una falsificazione sistemica», e di incarnare «una questione importante non certo di per sè ma per il suo valore simbolico derivante dalla presenza, nel suo intreccio, di tutte le anomalie che caratterizzano il sistema italiano contemporaneo».
Insomma, lei è convinta. Davvero. Forse se non ci fosse stato tra i suoi colleghi qualcuno che - come si racconta in giro - lha spinta avanti, spronandola da dietro le quinte ad avanzare sul proscenio, Annamaria Fiorillo si sarebbe risparmiata maldipancia e grattacapi.
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