E il povero Euripide finisce in burletta

«Le Troiane» ed «Ecuba» rovinate a Siracusa da due strampalate, imbarazzanti regie, l’una di Mario Gas, l’altra di Massimo Castri

Enrico Groppali

da Siracusa

Mentre da quarant’anni a questa parte, grazie al mirabile saggio di Jan Kott Shakespeare nostro contemporaneo, si insiste con sorprendente ricchezza di analisi sulle straordinarie premonizioni del Bardo, pochissimi hanno avanzato il sospetto che Euripide, nella straziante ironia di quei magnifici versi che ci svelano in modo magistrale l’ambigua sudditanza dell’uomo a una inesorabile volontà di potenza, ne sia stato l’araldo. Purtroppo su questa strada che porterebbe a un’indagine di vasta portata, nessuno s’inerpica. Al di là dell’eccellente lavoro di scavo compiuto in Germania da Stein e in Italia da Ronconi, da una parte si indugia ancora, per quanto riguarda il dramma greco, sulla colpevole ingenuità di cibi precotti da ammannire a platee contagiate dalle telenovelas, mentre quegli intellettuali che in passato hanno mostrato di non temere le vie impervie dell’esplorazione sintattica, oggi smarriti in un intellettualismo di maniera non trovano di meglio che buttare la mitologia in burletta.
È ciò che vediamo oggi a Siracusa col catalano Mario Gas e il toscano Massimo Castri. Il primo davanti a una palizzata di legno smangiata dal fuoco e invasa dal fumo fa entrare un Po- seidone in bombetta e verde valigetta da commesso a sciorinare davanti ad Atena, ridotta da dea ad hostess dell’Alitalia che indica al pubblico le uscite di sicurezza di un velivolo prossimo a decollare, il destino delle Troiane. Le quali, con l’ausilio imbarazzante del microfono, stridono come corvi assatanati cancellando in un astioso commento a più voci i magnifici versi sulla fine delle illusioni giovanili quando una civiltà s’inabissa nel nulla. Tra il fumo che si alza nel cielo, l’inciampo dei bidoni e l’infuriare degli Achei cosa può cogliere un giovane di oggi della grandezza poetica di Euripide davanti a un manufatto aziendale di questo genere? Cosa può soccorrerlo al di là dell’appassionata dedizione di Luca Lazzareschi che è Taltibio e dell’impegno di Lucilla Morlacchi, l’unica a conferire al suo autore tra tanta tragica incapacità a scolpire il verso di Euripide la nota dolente dell’elegia?
Ma il peggio deve ancora venire. Quando, dopo aver seguito per anni con commozione e gratitudine, il lavoro di Castri sui tragici dalle Trachinie ad Elettra, assistiamo con sgomento all’intervento a cuore aperto che ha compiuto sul cadavere vivente di Ecuba. Costringendo la più grande attrice italiana di oggi, Elisabetta Pozzi, a vagare come una becchina che ha appena fatto la conoscenza di Vladimiro ed Estragone, su una collina di sabbia coperta di una bianca coltre di neve su cui spicca, grazie a Maurizio Balò, il solito albero filiforme mutuato da Alberto Giacometti quando, sulle orme di Breton, popolava di simili vegetali le pagine del capolavoro Nadja.

Il tutto tra sibili da saracinesca ed evohé che suonano come rutti.

LE TROIANE - di Euripide. Regia di Mario Gas, con Lucilla Morlacchi
ECUBA - di Euripide. Regia di Massimo Castri, con Elisabetta Pozzi. Siracusa, Teatro Greco, fino al 21 giugno

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