Guido Mattioni
da Milano
«Scendere in piazza contro una Finanziaria di questo tipo può anche essere politicamente rischioso». È sembrato un Romano Prodi di lotta, più che di governo, quello salito irritualmente fino al capoluogo lombardo «per raccontare» la manovra «anche ai giornalisti milanesi», come ha spiegato il portavoce Silvio Sircana introducendo il Professore. Ma se lo scopo della trasferta, in compagnia dei ministri dellEconomia Tommaso Padoa-Schioppa e del Lavoro Cesare Damiano, voleva essere quello di strizzare un occhio alla parte più produttiva del Paese (subodorandone la solenne irritazione per la grandinata di tasse in arrivo) lauspicata e tentata captatio benevolentiae dei ceti medi è parsa invece sfumare sotto la virulenza delle dichiarazioni prodiane.
Oltre a dirsi prematuramente certo che «la Finanziaria passerà indenne al Parlamento», ieri il presidente del Consiglio è andato insomma giù duro sia sulloperato dellex maggioranza di centrodestra - che ha praticamente accusato di aver truccato le carte dei conti pubblici e di aver lasciato in eredità un Paese socialmente e profondamente ingiusto - sia, senza peraltro cambiare destinatari, gli attuali partiti dellopposizione. Che appunto ha sfidato a portare nelle strade la protesta contro il torchio fiscale. Iniziativa che a suo dire dovrebbe indurre i partiti della Cdl «a una riflessione molto più attenta». Nellagitare lo spettro della rischiosità di una simile eventuale manifestazione popolare, il Professore ha rivendicato invece la presentazione di «una Finanziaria che porta giustizia sociale e che aiuta i più deboli. E di cui non ci vergogniamo affatto».
Ma è contro loperato di chi lo ha preceduto al governo del Paese che Prodi ieri ha scagliato i dardi politicamente più acuminati. «Abbiamo presentato una finanziaria di grande significato che è stata condizionata dal fatto che lo Stato era stato amministrato male», ha esordito il premier per poi aggiungere, quasi parlasse di una banda di falsari, come «i conti avevano raggiunto livelli tali che era perfino complicato riuscire a leggerli». E puntando il dito contro la politica tremontiana dei condoni, ne ha negato leffetto di incentivo delle entrate, sostenendo invece che in tal modo «si era data la percezione che è sempre possibile evadere».
Accusa che è parsa poi riecheggiare anche nelle dichiarazioni di Padoa-Schioppa, autodefinitosi il «padre contento» di questa finanziaria. Il ministro dellEconomia, oltre a dire che si è trattato di «un parto difficile, con una gestazione lunga» e di cui «finora si sono sentiti soltanto gli strilli dalla sala parto di un bambino che doveva essere ancora ripulito», ha sottolineato infatti come il senso di questa manovra «non è quello di mettere le mani dello Stato nelle tasche dei cittadini, ma di togliere le mani di alcuni cittadini dalle tasche dello Stato». Senza specificare chi fossero stati, fino a ieri, quegli «alcuni».
Ma è il Professore «di lotta», quello che ieri a Milano ha tenuto in mano il boccino della polemica politica. Pur se visibilmente affaticato e spesso anche più verbalmente «impastato» del solito, Prodi è parso tuttavia - almeno a sprazzi - quasi ringalluzzito dal «bagno» di sinistra che aveva fatto in precedenza, sempre a Milano, al teatro degli Arcimboldi, partecipando alle celebrazioni per i cento anni della Cgil.
Così ha calato laltra sua frase a effetto, sostenendo che «lItalia è diventata il più iniquo tra i grandi Paesi europei» e aggiungendo che «dobbiamo martellare su questo concetto fino a quando non verrà capito da tutti».
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