E il re della Nutella disse: «Macché cassa integrazione...»

Caro Direttore,
lasci che glielo dica: finalmente. Ho letto la dichiarazione del presidente della Cei Bagnasco e mi è tornato un briciolo di speranza. Finalmente, le ribadisco, che sia arrivato qualcuno a trattare i lavoratori non come numeri ma per quello che sono: persone. È vero: noi operai veniamo spesso considerati come inutile zavorra. Oggi serviamo, domani ci comunicano che dobbiamo restarcene a casa perché non c'è più lavoro. Dicono sia colpa della crisi ma io non ci credo. È una scusa per tagliarci come rami secchi senza doverci dare troppe giustificazioni. Io continuo a passare da un contratto a termine all'altro, ho già perso due lavori fissi e ho due figli da mantenere. Mi barcameno anche facendo dei lavoretti saltuari, pagati una miseria, di quelli che, di solito, gli italiani disdegnano. Le confesso che faccio fatica ad arrivare a fine mese e lavoro sempre con il terrore che al venerdì mi dicano che da lunedì non ci sarà più bisogno di me. Tanti saluti e grazie. Gli imprenditori, che piangono miseria, si arricchiscono e noi veniamo trattati come numeri da cancellare, senza fare troppi danni al loro foglio. Scusi lo sfogo ma dopo tante ingiustizie subite le parole di Bagnasco mi hanno dato un briciolo di speranza. Quella, cioè, che il cuore di certi proprietari cambi in maniera radicale anche se il pessimismo è forte

Non è mica vero che di imprenditori così non ce ne sono più. Di imprenditori così è pieno il Paese. Nel Nord Est c’è stato qualcuno che ha preferito togliersi la vita piuttosto che togliere il lavoro ai suoi operai. E il resto d’Italia non è da meno. L’altro giorno ero in Piemonte, un imprenditore agricolo mi mostra la sua azienda tutta imbiancata di fresco e tirata a lucido. «Lo sai perché è così in ordine?», mi chiede. «Perché stai aspettando la regina d’Inghilterra?», provo a scherzare. E lui serio: «Non c’è nulla di ridere. C’è la crisi, anche per noi. Non c’è lavoro. Ma io gli operai non li mando a casa. E così, in attesa di tempi migliori, ci siamo dedicati a queste attività». Mi hanno raccontato che nei mesi scorsi, qualche dirigente è andato anche da Michele Ferrero, fondatore e patron del colosso dolciario, per proporgli un po’ di cassa integrazione per i dipendenti. E lui li ha fulminati con lo sguardo: «Possibile che non abbiamo più quattro soldi nemmeno per comprare due stracci?», ha chiesto in stretto piemontese. «Certo che li abbiamo», gli hanno risposto. E lui: «Alura catuma dui strass e duma na pulidada ai veter» (allora compriamo due stracci per gli operai e facciamoli pulire i vetri... ). Io credo che gli imprenditori siano così. Magari non tutti come Ferrero, che è una storia italiana incredibile (pochi giorni fa, quando gli hanno detto che il suo marchio era diventato il più famoso del mondo, superando l’Ikea, pare abbia reagito con un piemontesissimo: «Disumalo nen», non diciamolo a nessuno). Ma comunque sono eccezionali. Qualcuno sbaglia, qualcuno eccede, c’è chi evade e chi sfrutta: ma nel complesso gli imprenditori, soprattutto i piccoli e medi, sono la parte migliore di questo Paese. E nessuno di loro considera un dipendente (loro preferirebbero: collaboratore) come una zavorra. Mai. Il cardinale Bagnasco? Il suo appello è sacrosanto. Ma mi lasci chiudere notando un piccolo grande paradosso. Per molti, a sinistra, quell’intervento della Cei è stato una delusione. Il motivo? La voce ufficiale della Chiesa ha trascurato veline e il caso Noemi per occuparsi degli operai. L’«Unità» per esempio s’è indignata.

E se n’è lagnata a tutta pagina: che scandalo, il cardinale si occupa di operai anziché delle veline. Ma quello una volta non era il giornale dei lavoratori? Poi si stupiscono che nelle fabbriche non votano più a sinistra...

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