Indossa un giubbotto scuro. Forse nero. E va dritto
al punto, senza incespicare nelle parole: «Voi italiani siete tutti
fascisti e razzisti». Al suo fianco, un altro tunisino, con il
cappellino firmato Adidas annuisce. Le telecamere di Annozero inquadrano un paio di scarpe che potrebbero essere Nike ,
certo poggiate su un pavimento di palta che fa torcere le budella.
Michele Santoro sdogana una nuova figura: l’immigrato griffato. È un
profugo? È un clandestino, ma che cosa è? Per ora sappiamo che è, o
dovrebbe essere, una persona di buona cultura, istruita, che ce l’ha a
morte con l’Italia.
È il tunisino, il tunisino appena sceso dal
barcone, a vibrare un grande pugno in faccia al governo e alla sua
inefficienza: «Qua ci sono persone perbene - prosegue avvolto nel suo
giubbotto - qua ci sono intellettuali, io ho un master in psicologia».
Come stridono questi curricula importanti, da classe dirigente e non
da sottoproletariato del Terzo mondo, con il fondale dantesco che i cameraman
di Annozero
mostrano impietosi.«Qui c’è un odore nauseabondo, basta vedere le
toilette», spiega l’inviata del programma aggirandosi fra specchi
rotti, cessi alla turca intasati, camerate riempite come
alveari. «Siamo nella m. siamo nella m... siamo nella m...», scandisce
un altro tunisino accoccolato in un anfratto. Pure lui ha appena
vinto la sua scommessa con la sorte, ha attraversato il mare, è
arrivato a destinazione, ma già è impegnato in una predica contro
l’Italia. Come molti dei connazionali che si muovono fra gli scogli e
la sabbia contesa alle tartarughe della riserva.
Bivacchi. Fuochi. Grida di rabbia. Sandro Ruotolo, piazzato sulla
prima linea della spiaggia, arringa i telespettatori già arringati
dai nordafricani: «Qua ci sono una quarantina di lampedusani e un
centinaio di africani». Accampati come possono, immersi nella
sporcizia e nell’abbandono, ma aggrappati con le unghie a quel lembo di Europa che sporge dal mare.
Il popolo delle felpe e dei cappucci si aggira per le strade
dell’isola che sta per scoppiare. Mescolati con loro s’intravedono
sagome disperate, magari buttate per terra e ricoperte da un
lenzuolo lercio. Un uomo mostra addirittura il buco nella gamba,
provocato da una pallottola che nessuno gli ha estratto. Spaventoso.
È impossibile verificare. È impossibile controllare. È impossibile
distinguere. Quelli più stremati e indifesi, quelli che tremano,
tacciono. Nemmeno vedono il microfono. Altri sì: «Pensavamo che
l’Italia fosse la culla della democrazia e
invece ci lasciate in questo schifo». Un operatore, forse un
volontario della Protezione civile, prova a censire l’esodo:
«Quarantadue, quarantatrè, quarantaquattro. Questi sono
centoquarantaquattro ».
Ma i conti e le facce della grande fuga
non tornano: non ci sono donne, non ci sono vecchi, non ci sono
bambini. Il flusso è selezionato, come già aveva notato in
un’intervista al Giornale il
governatore del Veneto Luca Zaia: «Oggi sbarcano soltanto ragazzi
di 25-35 anni senza famiglia che appaiono in carne, ben messi e non
così sprovveduti ». Sarà così? Certo, a vederli vagare come animali
randagi per quelle contrade selvagge, si stringe il cuore. Ma le facce, alcune, intercettate da Annozero
completano l’identikit tracciato dal governatore: «Di sicuro, quelli
che arrivano con le scarpe da ginnastica firmate, il giubbottino
all’occidentale e il telefonino in mano non è gente che chiede asilo
politico».
Intanto il comizio interetnico prosegue. E Ruotolo, dal bagnasciuga, lo mette in cornice: «Da Lampedusa è partito un aereo che aveva a bordo solo 29 immigrati. Ventinove. Il piano di evacuazione è fallito». Sono tutti d’accordo: i clandestini, alias profughi, e i pescatori. Tutti insieme. E tutti contro il governo.
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