E Santoro usa il «posto fesso» contro governo e imprenditori

Per dirla come la direbbe Totò: «Ccà nisciuno è fesso». Nemmeno e soprattutto il telespettatore. Appunto. Il Santoro dei proclami l’aveva promesso: avrebbe fatto girare tutta la sua performance di metà settimana attorno alla crisi economica. Piccola o media impresa in crisi da una parte e dall’altra la riscoperta la rivalutazione del posto fisso, rilanciata dal ministro Tremonti in questi giorni per recuperare e far recuperare stabilità all'interno delle famiglie italiane.
Ebbene, che fa Santoro? Intanto ironizza già da titolo storpiando il posto fisso e in «posto fesso». Ma questo, nel solito teatrino, che deve attirare pubblico e consensi, ci può stare, per carità. Solo che il Gran Tribuno, puntualmente, già in apertura di giochi, dopo un paio di servizi strappalacrime e qualche invettiva facile da far rovesciare dentro i microfoni da parte di chi ha perso il lavoro ed è giustamente inferocito e disperato, punta il navigatore della sua strategia verso la solita direzione.
Siamo alle corde? Le ore di cassa integrazione stanno drammaticamente lievitando? La colpa è del governo o, più in generale, dello Stato, come urlano davanti alle telecamere i vari intervistati che sfilano davanti ai cancelli delle aziende in crisi. L’equazione è di facile intuizione anche per chi non ha dimestichezza con i grandi numeri: lo Stato premia i cialtroni e i furfanti e consente alle imprese (naturalmente soprattutto alle piccole e alle medie) di traslocare all’estero impianti e produzioni lasciando a casa gli operai italiani e se ne infischia. Accada quel che accada.
Anche Ignazio Marino, terzo incomodo nella corsa alla candidatura alla segreteria del Pd, ci illumina in questa direzione. Prima ci racconta il suo accorato impatto con la mensa dei poveri di San Francesco (non si sa mai rimanesse disoccupato anche lui un domani) e poi abbozza il suo personale processino a Tremonti. Un bell’assist per Santoro che pensa bene di andare a titillare gli ospiti in studio sulle presunte divergenze di vedute tra Berlusconi e Tremonti. Gli dà una mano Massimo Giannini, vicedirettore di Repubblica, che parla di una sistema sociale a pezzi. E via con il disfattismo. E persino con il botto ad effetto di Marino: lo scudo serve a proteggere i trafficanti di cocaina. Roba da fiction. Fiction che segue a fiction. Con il siparietto di recitazione affidato questa volta ad Alessandro Haber, che interpreta il ruolo del commercialista senza scrupoli, impegnato a «scudare» i suoi clienti che lavorano in nero. Con dovizia di particolari il commercialista-Haber ci svela come i soldi non tornino in Italia perché il piccolo e medio imprenditore si guarda bene dal riportarli e rimetterli nell’azienda che magari è in crisi. «Una pacchia - chiosa Marino - perché lo Stato non fa altro che premiare i disonesti e i furbetti».Ma la fiction non finisce qui. Ci pensa «mister un tanto al chilo» Travaglio, che nel suo pistolotto contro Tremonti e Berlusconi definisce lo scudo «un riciclaggio di Stato che concede la massima impunità non solo agli evasori fiscali ma anche a trafficanti d’armi, di droga e di organi ecc. ».

«Dire le cose che ha detto lei è da irresponsabile oltre che da bugiardo», gli replica duramente Maurizio Lupi (Pdl), che punto su punto rammenta come il provvedimento governativo sia lo strumento più idoneo a contrastare la lotta all’evasione. «Ma la sincerità - conclude Lupi - a lei Travaglio che è protetto da ben altri scudi, forse non interessa». Già.

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