E gli sciiti nominano Jafaari premier

Il primo ministro uscente passa solo grazie al voto del capo degli estremisti Sadr. Ma i curdi restano scontenti

Fausto Biloslavo

Ibrahim al Jafaari, l’islamico che ama i completi firmati dell’Occidente, ha riconquistato la nomina a primo ministro da parte dell’Alleanza irachena unita, il blocco sciita uscito vittorioso dal voto parlamentare del 15 dicembre scorso con 128 seggi su 275. Una scelta fotocopia, rispetto al precedente governo già guidato da Jafaari, che ha deluso molti iracheni che si aspettavano un volto nuovo. Il primo ministro dovrà comunque venir confermato dal Parlamento, ma la sua scelta, all’interno del blocco sciita, non è stata una passeggiata. Jafaari, leader del partito Dawa, una delle colonne della coalizione che ha vinto le elezioni, l’ha spuntata per un solo voto sul rivale Adel Abdul Mahdi, economista, pragmatico, moderato e figura di spicco dello Sciri, l’altro pilastro del listone sciita. Il voto che ha fatto la differenza è arrivato da Moqtada Sadr, il piccolo Khomeini iracheno, capo degli estremisti sciiti. Sadr odia politicamente lo Sciri e recentemente erano scoppiati violenti scontri a fuoco fra le milizie delle rispettive fazioni. Invece il primo ministro designato aveva da tempo lodato il lavoro dei ministri di Sadr nel suo precedente governo ipotizzando un aumento degli incarichi, agli estremisti sciiti, nel futuro esecutivo. Ora le trattative per il governo subiranno un’accelerazione, grazie alla designazione del premier, ma sarà una strada in salita.
I curdi, che rappresentano l’ago della bilancia per qualsiasi votazione qualificata in Parlamento, con i loro 53 parlamentari, sono contrariati dalla scelta di Jafaari, perché speravano in Abdul Mahid. Jalal Talabani, capo dello Stato che con tutta probabilità verrà riconfermato, ha già tirato una linea rossa, dopo un incontro con l’ambasciatore americano a Bagdad: «Sottolineo la necessità di formare un governo di unità nazionale nel quale nessuno sarà ecluso, specialmente la Lista irachena di Allawi». Quest’ultimo è un ex premier iracheno sciita, ma laico e vicino ad ambienti sunniti. Il braccio di ferro con il nocciolo duro della maggioranza sciita riguarderà soprattutto il ministero degli Interni e della Difesa. Sunniti e curdi accusano l’attuale ministro degli Interni, Bayan Jabr, di aver lasciato mano libera alle squadre della morte sciite, annidate nei gangli della sicurezza, come appendici delle milizie di partito. Allawi sarebbe candidato a un ruolo di supervisione sulla sicurezza.
Inoltre i curdi sono scontenti di Jafaari per la sua inerzia nella soluzione del nodo di Kirkuk, il capoluogo petrolifero e strategico nel nord del Paese diviso con gli arabi importati da Saddam. Il nodo di fondo rimane l’inclusione o no nell’esecutivo delle formazioni sunnite entrate in Parlamento, che in alcuni casi sono contigue agli insorti. Jafaari si è limitato a ripetere che il nuovo governo seguirà le priorità del precedente, ovvero «garantire la sicurezza, risollevare l’economia e continuare la ricostruzione».
Cinquantanove anni, nato a Karbala, fa parte della potente famiglia religiosa degli al Eshaiqer, che deriva da quella del profeta Maometto. Nonostante sia medico di formazione ha studiato teologia islamica avvicinandosi alla ricerca spirituale e dottrinale che ha formato tutti i grandi ayatollah. Jafaari si salvò dalle sanguinose repressioni di Saddam fuggendo a piedi verso l’Iran. In seguito il Dawa si divise in tre spezzoni e la famiglia Al Hakim fondò lo Sciri, un nuovo partito sciita allora fortemente appoggiato dagli ayatollah iraniani.

Jafaari si smarcò da Teheran, alla guida della fazione più forte del Dawa e si trasferì a Londra nel 1989. Tornato in Irak nel 2003, dopo l’attacco alleato, ha sempre criticato gli americani e si è battuto per un ruolo più marcato dell’Islam nella costituzione provvisoria.

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