E la sinistra grida al golpe

E così adesso tocca immaginarsi Silvio Berlusconi che, stanco del doppiopetto, sul petto ci appiccica le medaglie da generale reazionario e per sopprimere i moti ordina all’esercito di sparare cannonate sulla folla provocando la strage. Lo spettro di Fiorenzo Bava Beccaris è il leader di Rifondazione Paolo Ferrero a evocarlo, ma è solo perché lui ha studiato la storia.
Chi è nato negli anni Cinquanta come Anna Finocchiaro del Pd dice che «nemmeno Mario Scelba» (quello che, sì, vietò il partito fascista, epperò inventò la “celere”). Chi rievoca una naja difficile come l’Idv Massimo Donadi che cita «il sergente di ferro». Quel diavolo di Luca Casarini, per la prima volta in vita sua d’accordo con l’acquasanta Udc Bruno Tabacci, preferisce l’ormai abusato paragone con il presidente russo Putin. Tutti, comunque, concordi su un punto: è un golpe. Piduista come esplicita Furio Colombo o fascista come lascia intendere Walter Veltroni poco importa. Ascolti le reazioni alla conferenza stampa del premier e del ministro della Scuola Mariastella Gelmini e sudi freddo. Non è stato l’annuncio che il governo tenterà di garantire un diritto, quello a entrare in classe e fare lezione, che in queste ore le okkupazioni stanno impedendo. E non è stato nemmeno l’invito a parlarne una volta per tutte, di questa benedetta Riforma, sfatando le falsità e possibilmente senza allarmismi. No. Il premier ha riunito la stampa per fare una dichiarazione di guerra al Paese, e che c’entra se quel Paese lo governa lui con oltre il 60 per cento dei consensi. È un autogolpe, e allora?
Solo che poi senti Nichi Vendola definire «sorprendente» che un governo «di solito tanto attento alla ricerca del consenso speri di cavarsi d’impiccio ricorrendo alla violenza» e pensi che un po’ sorprendente in effetti lo è. Leggi che il sindaco di Roma Gianni Alemanno ha detto che «manifestare è un diritto» e ti dici che adesso sarà mica che Berlusconi scavalca a destra An? Qualcosa non torna e allora forse, per capire chi «soffia sul fuoco» come dice Veltroni, aiuta fare il gioco di chi ha iniziato per primo, a parlare di violenza.
Vai a ritroso sui quotidiani di sinistra e rischi la crisi d’ansia. L’Unità di ieri: «In piazza contro il governo della paura» dice Veltroni su otto colonne. Sull’Unità del 20 ottobre c’è Fabio Mussi l’ex ministro dell’Università che avverte: «È la strage dei ricercatori, perderanno il posto a migliaia». Editoriale del Manifesto del 16 ottobre: «Razzismo in cattedra». Ancora il Manifesto ma il giorno prima: mega foto di cortei e sopra la scritta «Vietati» a caratteri cubitali. Richiamo in prima pagina del Manifesto dell’8 ottobre: «Fascismo e berlusconismo, non c’è un male peggiore. Dibattito sulle tesi di Asor Rosa». Persino l’astrofisica Margherita Hack ieri ha portato i suoi 86 anni in piazza per gridare alla «falsa democrazia» e anche i tiggì più ingessati ci hanno messo del loro in questi giorni, infilando un’immagine di scontri e cortei in ogni servizio sulla riforma. Per non parlare del titolo dell’Annozero di stasera: «Le mani sul futuro», tanto per non condizionare nessuno, vabbè, ci penserà Michele Santoro a non sbilanciare il dibattito.
Ma la dose di adrenalina più massiccia è arrivata ieri. Diceva Veltroni che ipotizzando l’intervento delle forze dell’ordine per garantire le lezioni «il premier si assume la grave responsabilità di trasformare una questione sociale in un problema di ordine pubblico». Seguivano tutti gli altri, in un coro unanime di: «Così rischia di provocare altri scontri», con Vittorio Agnoletto a paventare «un altro G8», e te pareva.


Ieri, subito prima che scattasse l’allarme collettivo sul regime, all’Università Statale di Milano in cento hanno interrotto una lezione beccandosi l’ira di chi la lezione voleva seguirla e l’indignato «è un’azione di violenza» del prof che la lezione la stava facendo. Qualcuno dica al Pd che il problema di ordine pubblico c’è già.

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