«E sul fronte competitività la svolta è dietro l’angolo»

Elido Fazi (Business International): progressi in nove categorie su dieci, prime fra tutte le politiche per l’impresa e la concorrenza

Laura Verlicchi

da Milano

Sul fronte competitività il sistema Italia ha perso punti, ma la ripresa è a portata di mano. Lo dicono i dati dell’Economist Intelligence Unit, nel rapporto elaborato da Business International, come spiega al Giornale il direttore Elido Fazi.
Italia declassata, poi rivalutata: perché?
«I tassi di crescita del nostro Paese sono attualmente modesti, e questo è innegabile. Così come ne sono evidenti le ragioni, a cominciare dalla concorrenza delle economie emergenti, Cina in testa, per proseguire con l’affanno dell’economia tedesca, primo mercato per il nostro export,e finire con la debolezza della domanda interna. Ecco perché siamo scivolati al 31° posto nella classifica mondiale della competitività, perdendo otto posizioni. Ma è altrettanto vero che, mettendo a confronto la valutazione "storica" del periodo 2001-2005 e le previsioni per i prossimi anni, dal 2006 al 2010, il punteggio dell’Italia migliora in nove delle dieci categorie che formano l’indice di competitività».
Quali in particolare?
«Le politiche per l’impresa e la concorrenza, dove passiamo dal 27° al 24° posto. Manteniamo le posizioni anche per quanto riguarda le infrastrutture, dove le prospettive sono migliori soprattutto per le telecomunicazioni e i porti. In altre categorie, come l’ambiente macroeconomico, il miglioramento, pur evidente, non è tuttavia sufficiente rispetto ai progressi di alcune economie emergenti: oppure è penalizzato dal quadro di riferimento liberista dell’Economist».
In che senso?
«Mi riferisco al mercato del lavoro, che nella classifica globale passa dal 52° al 46° posto, ma è considerato ancora troppo rigido. Tuttavia, grazie alle riforme, è previsto un miglioramento sotto il profilo della flessibilità, e del relativo punteggio. Anche se, a mio avviso, occorre tenere conto anche di altri indicatori, per valutare lo sviluppo di un Paese».
Come ad esempio?
«La notorietà dei suoi marchi a livello mondiale. L’Italia ne può vantare 8, uno in più di Giappone e Germania, per non parlare della Francia che ne ha appena due: ci precedono solo gli Stati Uniti, con 27 marchi, compresi giganti come Microsoft. Oppure, pensiamo ai cellulari, di cui siamo tra i maggiori consumatori, con 93,9 utenze ogni 100 abitanti contro i 48,8 degli Usa, e alle possibilità di ricerca che si aprono in questo settore nel nostro Paese».
Italia promossa o bocciata, alla fine?
«Sicuramente migliorata. Il voto, ossia il punteggio previsto per il prossimo quinquennio, passa infatti da 6,55 a 7,34, permettendo di risalire di una posizione in classifica.

Dove peraltro non c’è nessuna new entry clamorosa: a precederci sono vecchie conoscenze, dagli Usa ai Paesi scandinavi, come la Danimarca che in un anno è risalita dal quinto al primo posto. Paesi cioè che hanno trovato un equilibrio tra welfare e capacità di fare impresa: una strada da percorrere anche dall’Italia».

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