E sul Lingotto è gelo tra Montezemolo e Fini

Guido Mattioni

nostro inviato a Rho

Fuori, il brivido bianco della tundra innevata di Rho. Eppure dentro, nella bizzarra “astronave” della nuova Fiera di Milano, ieri si avvertiva perfino un filo di gelo in più, materializzatosi nelle acuminate stalattiti di ferma cortesia usate dal vicepremier Gianfranco Fini per ribattere punto su punto a Luca Cordero di Montezemolo. «Come Paese stiamo perdendo molti colpi», aveva esordito il presidente di Confindustria aprendo il suo intervento alla Terza conferenza nazionale sul commercio estero, lamentando come di questo passo «l’Italia sta perdendo clamorosamente capacità di attrazione».
Parole alle quali ha replicato Fini. Che dopo aver riconosciuto come sia «innegabile che le aspettative che avevamo nel momento in cui abbiamo iniziato la nostra esperienza di governo non si sono avverate per intero», ha tuttavia ricordato come queste difficoltà siano attribuibili «a circostanze arcinote, ma su cui la capacità d’intervento del governo era limitata o nulla. Non sto invocando alibi, ma un esame di coscienza si pone», ha tagliato corto il vicepresidente del Consiglio.
L’uso della prima persona plurale, ha poi subito spiegato, significa che «mi sto riferendo a scelte e decisioni che risalgono al governo e alla maggioranza precedenti». Questo, pur senza voler «addossare ai nostri predecessori la responsabilità esclusiva delle difficoltà attuali. Desidero però sottolinerare che sarebbe altrettanto semplicistico individuare nel governo e nella maggioranza attuali i responsabili della crisi di competitività innegabilmente attraversata in questi anni», ha aggiunto.
E per essere più chiaro, ha citato dei casi concreti. Ricordando, per esempio, come quando una superpotenza economica in prepotente ascesa come la Cina, aderì al Wto, «abbiamo salutato l’apertura al commercio mondiale di quell’enorme mercato senza cogliere per tempo la portata epocale della competizione con la manifattura made in Cina». Ancora quella prima persona plurale per ricordare una “distrazione” particolarmente colpevole in un Paese con la nostra peculiarità produttiva. Ugualmente, «abbiamo celebrato l’ingresso nell’Unione economica e monetaria senza renderci conto delle conseguenze della partecipazione alla moneta unica per la competitività di un’economia come la nostra, abituata nei decenni passati a riguadagnare terreno grazie a uno strumento, la leva del cambio, che con l’euro sarebbe venuta meno». Di nuovo la prima persona plurale, tanto per dire che chi è senza peccato scagli la prima pietra.
«Noi abbiamo mille difetti», ha ammesso ancora Fini, rivendicando però come il governo abbia «dato dei segnali, come le riforme del mercato del lavoro e dell’università», entrambe tanto attese proprio dal mondo produttivo per poter contare su quella maggiore snellezza necessaria a competere auspicata ancora una volta, ieri, dallo stesso Montezemolo, tornato a chiedere riforme «essenziali e indispensabili». «Non credo che da questo punto di vista si possano dare maggiori garanzie e noi confidiamo nella capacità del mondo delle imprese di scegliere» nella prossima tornata elettorale, ha aggiunto Fini. E sempre in risposta a Montezemolo, che aveva portato a esempio la “sua” Fiat per come «si sta risollevando senza l’aiuto di nessuno», il vicepremier ha detto che sì, «è giusto e doveroso» riconoscerlo. Ma con un limite temporale: ovvero gli ultimi due anni.

Perché, ha scandito Fini, «è anche giusto e doveroso ricordare che ci sono stati altri momenti in cui la Fiat era solita socializzare le perdite e privatizzare i profitti».
Sì, era sceso per davvero un gran gelo, ieri, sulla tundra innevata di Rho.

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