E torna di moda il «corporate bond»: Sul mercato prove tecniche di fiducia

Non si tratta di cifre enormi, per ora. Ma le grandi aziende di Piazza Affari tornano, con circospezione, ad affacciarsi sul mercato obbligazionario. Segno che la grande paura è alle spalle e che, almeno sul fronte strettamente finanziario, si può ricominciare a guardare avanti. Di fatto confermando quanto già detto nelle scorse settimane dal ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, e da Confindustria.
Sono almeno sette le società che dalla metà di marzo sono tornate a chiedere denaro ai risparmiatori, o hanno annunciato che lo faranno entro breve, sbloccando un segmento, quello delle emissioni di corporate bond, praticamente fermo da mesi in Italia. Unicredit, Mps, ma anche Atlantia e Finmeccanica per fare qualche nome. «Sul mercato si notano segnali tangibili di miglioramento, un po’ di liquidità è tornata, e con essa la propensione al rischio», commenta Mauro Vittorangeli responsabile obbligazionario di Allianz global investors Italia. Oltre che all’azionario gli investitori guardano dunque con rinnovato interesse ai titoli di debito delle aziende, senza richiedere l’enorme premio al rischio di qualche tempo fa.
Le aziende stanno cercando di sfruttare la situazione corrente di bassi tassi d'interesse per piazzare ora i propri titoli obbligazionari alle condizioni migliori (anche in Europa: si vedano le emissioni recenti di Veolia e Michelin). Tra bond già emessi e quelli annunciati si parla di quasi otto miliardi di euro. «Alcune società hanno approfittato della situazione per fare una buona provvista - spiega Angelo Drusiani, di Albertini Syz - pagando rendimenti non così elevati rispetto a quelli dei titoli di Stato». Le stesse banche, prosegue il gestore, hanno collocato a costi ragionevoli, nonostante restino in teoria ancora le più esposte alla crisi creditizia. Qualche esempio: Mps ha messo sul mercato un miliardo di euro, con scadenza quinquennale, offrendo un rendimento solo del 2% superiore a quello del titolo di Stato tedesco di uguale durata. E per Unicredit, a fronte di un’offerta di titoli triennali pari a un miliardo di euro, la richiesta è stata di un miliardo e mezzo. Tutti segnali di un risveglio del mercato, come confermato in marzo anche da Telecom Italia, la cui emissione fu collocata «a condizioni migliori di quelle attese».
Al di là della discesa del costo del denaro, un ruolo decisivo l’ha avuto, in questi mesi, la progressiva riduzione dei differenziali di interesse, in pratica dei rendimenti che gli emittenti devono garantire per rendere allettante il proprio debito presso i risparmiatori. Non siamo ancora ai valori pre-crisi, ma insomma il clima di totale sfiducia che ha dominato per mesi il mercato dei capitali sembra aver allentato la morsa. Per le banche in particolare, alle prese con lo sforzo di ripatrimonializzazione, hanno giovato le misure di salvataggio e protezione messe in campo dai governi di tutto il mondo, che in Italia hanno assunto la forma dei Tremonti bond. «A un certo punto è stato chiaro agli investitori che i governi non avrebbero lasciato fallire le grandi banche» spiega ancora Drusiani. Una boccata d’ossigeno per il settore, che ha favorito un maggiore ottimismo e un ritorno dell’attenzione sui valori fondamentali delle società.
Non è da escludere che la tendenza sia destinata a continuare, per ora. Gli analisti di Ing, in un report, prevedono che le emissioni di corporate bond in Europa supereranno i 250 miliardi di euro nel 2009: oltre il record del 2001 di 204 miliardi. D’altra parte un ulteriore taglio del costo del denaro da parte della Bce non sembra più un’ipotesi così scontata, e cresce il numero degli economisti secondo cui Trichet non scenderà sotto l’attuale 1,25%.


Comunque vadano le cose il 7 maggio (data della prossima decisione di Francoforte), quello che è certo è che si è aperta una finestra favorevole per le emissioni di obbligazioni societarie. Potrebbe durare ancora per sei, otto mesi, spiegano gli esperti, prima che la politica monetaria ridiventi restrittiva.

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