E Wojtyla s’impuntò: «Non torno a casa devo salire sul Golgota»

Il Papa a Gerusalemme stravolse i programmi e rinviò la partenza: «Voglio vedere per l’ultima volta il luogo dove è morto Cristo»

Andrea Tornielli

Giovanni Paolo II, durante lo storico pellegrinaggio da lui compiuto in Terra Santa nel marzo 2000, «sfrattò» il segretario Stanislao Dziwisz dalla stanza attigua alla sua per ospitarvi l’ostia consacrata e poter trascorrere davanti a essa molte ore della notte in preghiera. È uno dei tanti particolari inediti che racconta l’ex Custode di Terra Santa, il francescano Giovanni Battistelli, che accolse Papa Wojtyla e fece parte della «famiglia pontificia» durante tutto il viaggio.
Padre Battistelli, che ha concluso il suo mandato nel 2004, ha partecipato venerdì sera a un convegno organizzato a Milano dal Centro Edizioni Terra Santa per ricordare Giovanni Paolo II nell’anniversario della morte e ha raccontato molti retroscena del viaggio. «Per il Papa alloggiava presso la delegazione pontificia a Gerusalemme – ha detto Battistelli – e la sede della delegazione era stata sistemata per poterlo accogliere: c’era un ascensore per condurre il Pontefice al secondo piano, dov’era stata preparata la sua stanza. A fianco, c’era la stanza preparata per il suo segretario, monsignor Dziwisz». «Eppure, la sera del 21 marzo, dopo essere sbarcato all’aeroporto di Tel Aviv e quindi essere giunto a Gerusalemme, Giovanni Paolo II decise di fare diversamente. Disse al suo segretario che avrebbe dormito al piano terra e volle che nella stanza predisposta per monsignor Dziwisz fosse invece ospitato il Santissimo sacramento, per poter trascorrere del tempo in meditazione e preghiera davanti all’ostia consacrata».
Un piccolo grande episodio che dice molto di Wojtyla e soprattutto «svela» ancora una volta quale fosse la fonte da cui il Papa attingeva energia. Tutto quel viaggio, attraverso i luoghi santi, testimonierà questa dimensione di Giovanni Paolo II, che volle rimanere quasi un’ora a pregare davanti alla mangiatoia nella Grotta della Natività di Betlemme.
Un altro retroscena, relativo all’ultimo giorno del viaggio, riguarda la visita al Santo Sepolcro. Il Papa entrò nella basilica e curvandosi a fatica (ancora camminava, seppure con difficoltà e servendosi del bastone) riuscì a passare attraverso la piccola porticina che nell’edicola del sepolcro introduce allo spazio della tomba vera e propria. Rimase in ginocchio in preghiera, appoggiato sulla lastra di marmo che copre la roccia dov’era stato deposto il corpo di Gesù. All’uscita, sempre all’interno della basilica, alzando gli occhi alla sua sinistra, Giovanni Paolo II vide la scala che saliva al Golgota. Una scala ripida, che porta alla roccia dove secondo la tradizione era stata conficcata la croce. «Il Papa mi chiese: “E lì, sul Golgota, non ci andiamo?” – racconta padre Battistelli – Io risposi che eravamo in ritardo, che non c’era tempo: eravamo attesi per il pranzo al patriarcato latino. Credetti che la cosa fosse finita lì».
«Durante il pranzo, invece, vidi il Papa che mi faceva segno con la mano di avvicinarmi a lui. Mi disse: “Voglio tornare alla basilica del Santo Sepolcro e salire sul Golgota”. Gli risposi che mi sarei subito informato. Ne parlai con il segretario Dziwisz e con il nunzio, monsignor Pietro Sambi. Quest’ultimo mi disse che non era possibile, non c’era il tempo, e poi non si sarebbe potuto organizzare questo fuori programma, bisognava avvertire la polizia... Ricordo che monsignor Dziwisz mi apostrofò scherzando: “Di’ al Papa che ci siamo già stati”». Padre Battistelli tornò dunque vicino al Pontefice esponendogli tutte le difficoltà del caso.
«Ma il Santo Padre era irremovibile. Ascoltò. Poi attese un po’ quindi mi disse: “Io voglio andare sul Golgota”». Il Custode di Terra Santa è dunque costretto a tornare dal segretario del Papa e dal nunzio apostolico, ma ancora una volta gli vengono prospettate le difficoltà legate all’orario e alla logistica.
«Finalmente ci alziamo da tavola. Il Papa monta in macchina e mi chiama nuovamente: “Allora, andiamo al Golgota?”. Io gli rispondo che non si può e lui allora fa chiamare il nunzio. Monsignor Sambi gli spiega che non è possibile: “Non c’è tempo Santità – dice – Bisogna partire...”. Il Papa risponde: “Io non mi muovo se non per tornare alla basilica del Santo Sepolcro...”. “Ma ci vuole un giorno per organizzare tutto”, ribatte il nunzio. E il Papa: “Bene, vorrà dire che partiremo domani invece che oggi. Portatemi sul Golgota”. Dicendolo aveva afferrato il polso di monsignor Sambi e lo stringeva con forza».
Alla fine, il Papa ha la meglio. E il corteo fa ritorno alla basilica, per un fuori programma inaspettato che per un’ora tiene con il fiato sospeso i giornalisti, preoccupati per il ritardo nella tabella di marcia. Arrivato alla scala, ripidissima e scivolosa, Giovanni Paolo II si fa aiutare e sale fino al punto in cui era conficcata la croce di Gesù. «Gli ortodossi sono stati gentilissimi – confida padre Battistelli – hanno tirato fuori la sedia e l’inginocchiatoio del loro patriarca e l’hanno messo a disposizione del Pontefice». Così il tenacissimo Wojtyla, prima di lasciare Gerusalemme, era riuscito a coronare il suo sogno.
Padre Battistelli ha infine ricordato le trattative con le autorità israeliane per organizzare la visita. Si discuteva della copertura che la tv israeliana avrebbe dato alla visita.

Ricordo che il funzionario di un ministero mi disse: “Se trasmettiamo più del 50 per cento degli eventi, qui crolla il Governo”. Poi invece la tv trasmise tutto in diretta. E alla fine del viaggio, incrociai ancora quel funzionario che mi disse: “Per fortuna che il Papa se ne va, sennò qui si fanno tutti cattolici!”».

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