Ebreo spara e uccide quattro palestinesi
18 Agosto 2005 - 00:00Luomo era depresso per il ritiro dagli insediamenti di Gaza
Gaia Cesare
«Impossibile non piangere» di fronte alle scene delle sgombero. Impossibile non commuoversi «quando si vedono quelle famiglie in lacrime, quei poliziotti in lacrime». «Riguarda anche me», dice il premier israeliano Ariel Sharon da Gerusalemme, cercando di inviare alla nazione il messaggio della sua partecipazione allo strazio che i coloni ebrei, costretti a lasciare le proprie abitazioni nella Striscia di Gaza, stanno vivendo nelle ultime ore. Ma il vero segnale di vicinanza alla sua gente Sharon lo lancia quando torna a fare il duro, il «falco» che gli ebrei hanno voluto al governo proprio per la sua linea dura: «La colonizzazione proseguirà e si svilupperà» in Cisgiordania dopo il ritiro da Gaza, promette il primo ministro, nel tentativo di prospettare al Paese e ai suoi elettori una via alternativa che dimostri che non cè cedimento da parte dellesecutivo.
Memore del suo passato di ex generale, il premier difende i soldati israeliani e si assume tutta la responsabilità delle sue scelte politiche, chiedendo ai coloni di Gaza di non prendersela con i militari: «Accusate me, non gli uomini e le donne in uniforme», dice al suo popolo, cosciente della lacerazione interna che sta causando lo sgombero, messo in atto da ebrei ai danni di altri ebrei. «Non rendete le cose più difficili per loro - ha insistito il premier -. Non colpite loro, colpite me. Sono io il responsabile. Accusate me».
«Colpire»: una parola che - mentre viene pronunciata da Sharon - mette in imbarazzo il presidente israeliano Moshe Katsav, presente al discorso pronunciato da Sharon e cosciente del rischio che il primo ministro sta correndo, cosciente della minaccia che la rabbia degli estremisti di destra rappresenta ora per il capo del governo, la stessa rabbia che proprio dieci anni fa portò allassassinio dellex premier Yitzhak Rabin. Il presidente Katsav corregge Sharon: voleva dire «criticate me» e non «colpite me», e la sua precisazione rende palpabile la paura che serpeggia fra i vertici politici israeliani.
Sarà dura, tuttavia, per il premier riconquistare il sostegno del suo partito e quello dellelettorato - come ha sottolineato negli ultimi giorni la stampa israeliana -. E le parole pronunciate ieri nei confronti dellAutorità palestinese non lo aiuteranno nel difficile percorso politico che gli si prospetta dopo lo sgombero. «Non ci sono dubbi che i palestinesi stanno facendo degli sforzi per far sì che il ritiro si svolga nella calma», ha detto ancora Sharon.
Ma il fronte palestinese più estremista, il leader di Hamas a Gaza, non dimostra alcuna indulgenza. Per costringere gli israeliani a smantellare anche le colonie della Cisgiordania, il leader degli integralisti di Gaza, Mahmoud Zahar, ha lanciato tramite il quotidiano arabo Al-Sharq Al-Awsat, un appello in cui invita alla ripresa degli attentati terroristici: «Il ritiro israeliano da Gaza è un momento storico molto importante, ora la resistenza si deve spostare in Cisgiordania, dove i sionisti hanno ucciso migliaia di bambini palestinesi».
Da Beirut gli fa eco un altro alto dirigente della guerriglia palestinese, Khaled Mashaal, che ha tenuto un discorso pubblico nella capitale libanese: «È la resistenza palestinese che ha costretto Sharon a uscire da Gaza». Parole impregnate di violenza le sue, e la promessa di non abbandonare la linea dura: «Questa impresa storica è stata raggiunta grazie alle operazioni kamikaze e al lancio dei razzi Qassam e al sacrificio dei martiri», ha commentato il leader di Hamas. «Siamo solo allinizio e intendiamo completare lopera con la totale liberazione dei Territori palestinesi, e per questo non cambieremo la nostra strategia. Non disarmiamo né a Gaza né in Cisgiordania».
Intanto gli occhi del mondo sono puntati sullevolversi della situazione a Gaza. Ieri il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha telefonato a Sharon e al presidente palestinese Abu Abbas, osservando che il ritiro rappresenta unoccasione storica per costruire un futuro migliore per i popoli israeliano e palestinese.
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