Ecco gli angeli-salvacavalli contro l’inferno dei mattatoi

Ho scritto numerose volte (ma repetita iuvant) che, quando non si è vegetariani, fare delle distinzioni nel mangiare la carne di questo o di quella specie animale diventa un problema eticamente molto complesso e delicato. Una delle mie nipotine, di 11 anni, che ha deciso, in modo del tutto autonomo di approdare al vegetarismo ha lasciato una decina di commensali allibiti e senza parola, quando, di fronte a due fettine di carne bianca, ha affermato a voce alta e priva di alcun timore: «Forse che il tacchino ha meno diritti di altri animali? Si può avere un po' di formaggio, per favore?».
D'altronde, pur riconoscendo le ragioni etiche della precoce ragazzina, quando penso alla straordinaria importanza che ha avuto il cavallo nella storia dell'uomo, non posso esimermi dal tributargli un altrettanto straordinario rispetto. Il cavallo ha permesso all'uomo di spostarsi, di muoversi, di fuggire e di trovarsi, ha concesso ai popoli di coprire distanze infinite. Senza il cavallo l'uomo non sarebbe l'uomo. Nessuno può sindacare se chi sente nel profondo, questo debito di riconoscenza evita di mangiare carne di cavallo e così pure di asino e mulo, altri animali che vantano enormi crediti verso l'umana specie. Per decine d'anni medici ignoranti hanno consigliato il pesto di cavallo crudo «che fa buon sangue» e la gente si ammalava di trichinellosi e salmonellosi.
Il problema della carne di cavallo è complicato dal fatto che gli equini impiegati nell'attività sportiva finiscono regolarmente sulle tavole, spesso dopo avere assunto agenti dopanti d'ogni tipo, compreso il Viagra, come accertato qualche tempo fa nell'ippodromo semiclandestino di Napoli, dove 80 cavalli sono risultati positivi alla pillola blu. Se qualcuno dovesse pensare che le corse clandestine, il doping e i macelli nei garage sono un fenomeno che riguarda pochi criminali, sbaglierebbe di grosso. Sì certo, riempire di Viagra un cavallo, spremerlo come un limone e quando polmoni e cuore non ce la fanno più, inviarlo in un lurido «basso» a finire la vita appeso al gancio, è roba da criminali. Ma c'è un altro tipo di criminalità che si fa fatica a definire tale solo perché la legge non la vieta. Come è possibile allenare un cavallo, stargli vicino la notte prima della corsa, abbracciarlo quando vince, per poi accompagnarlo in macello solo perché si è lacerato un piccolo tendine che non gli permetterà più di piazzarsi? Con quale coraggio lo si guarda negli occhi e gli si allunga l'ultima pacca spingendolo davanti alla pistola, mentre lui scalpita e indietreggia perché sente il puzzo della morte? Con il coraggio d'essere vigliacchi.
I cavalli indirizzati verso l'attività agonistica avrebbero diritto, una volta finita la carriera, a un onorato riposo e possibilmente non quello eterno. Per questo principio sostanzialmente scendono in campo gli Horse Angels, l'Associazione per la Protezione degli Equidi e numerose altre organizzazioni animaliste che hanno indetto, per il 14 novembre a Roma, la sfilata di un corteo, dall'ex galoppatoio di Villa Borghese a Piazza di Siena, per dire di no alla macellazione dei cavalli sportivi. Si calcola che, in Italia, 100.000 cavalli all'anno finiscano nel circuito della macellazione, più o meno legale.

Il corteo terminerà con la consegna delle migliaia di firme raccolte a favore della proposta dell'on. Frassineti (Pdl) contro la macellazione degli equidi e per il riconoscimento del cavallo come animale d'affezione. Speriamo sia una lungo, pacifico e ascoltato corteo.

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