Roma

Ecco Brendel, il «dottor sottile» del piano

Questa sera alla Sala Santa Cecilia proporrà partiture di Beethoven, Mozart, Schubert e Schumann

Pietro Acquafredda

«Dottor sottile», appellativo col quale in Italia è conosciuto l'ex presidente del Consiglio, Giuliano Amato, già da prima veniva usato per Alfred Brendel, pianista innanzitutto, ma pure musicologo, teorico ed anche pittore; ultimamente, perfino poeta; il che spiega la sua presenza al «Festival Letteratura» di Mantova e l'imprestito fatto a Berio per la sua ultima composizione «Stanze», poeta fra poeti (Celan, Sanguinetti, Caproni, Dan Pagis); un testo venato di surreale umorismo, laddove - nei suoi versi - dichiara di aver ricevuto un'informazione secondo la quale, nella Tritsch-Tratsch-Polka di Johann Strauss, s’udrebbe la voce nientemeno che dello Spirito Santo. Quello dell’ironia è un segno caratteristico che mancava nelle generalità psicologico-artistiche di Brendel, classico Herr Professor tedesco perfino nell’aspetto, compassato sotto il peso dei suoi pensieri, affatto incline neppure al sorriso.
In Italia Brendel non è così presente come nei paesi del centro Europa e, nella sua seconda patria, l’Inghilterra. Brendel condivide con altri due virtuosi della tastiera il medesimo giorno di nascita, in barba agli oroscopi: Benedetti Michelangeli nato nel 1920; lui, Brendel il 1931 e Pollini, nel ’42; tutti e tre a distanza di undici anni l’uno dall’altro - ma tutti nati il 5 di gennaio. Tolto il giorno di nascita, nient’altro hanno in comune i tre pianisti, nel loro profilo professionale. E Brendel, rispetto agli altri manca del fuoco del rischio - come Pollini ha in sommo grado - e dell’aspirazione alla perfezione somma ed inimitabile di Benedetti Michelangeli.
Brendel, più emozionante come studioso, scrupoloso nell’impegno, risulta incarnare il fedele custode della tradizione viennese, pianista classico per cultura ed indole; il suo Beethoven mai sconvolge né turba e neppure fa venire i brividi; rassicura. Per convincersene basta un semplice confronto con il suo connazionale Gulda.
Brendel è pianista da sala d’incisione, dove ha passato gran parte dei suoi primi anni di carriera, incidendo per la Vox americana tutto Beethoven; è forse lì che ha contratto quello che si ritiene un peccato originale nel mondo della musica; a tutti loro si chiede di tenere in vita la tradizione, mai di rinnovarla e meno ancora rinnegarla, pena l’esclusione dalle tenzoni internazionali, come insegna il caso Pogorelich, vent’anni fa, quando lacerò letteralmente la giuria con la Argerich che se ne andò sbattendo al porta.
Oggi Brendel se non emoziona quanto sarebbe lecito attendersi da lui - come invece ha saputo fare forse solo con Liszt in passato, e sempre in sala d'incisione - è certo che mai lascia delusi; lui viene a rassicurare; alla musica si avvicina con scrupolo e competenza esegetica.
Qualcosa di nuovo, se c’è, riguarda il repertorio: accanto al classicismo viennese di Beethoven (di cui ha in programma la Sonata n. 15, op.28 «pastorale»), ma anche di Mozart (Nove Variazioni su un tema di Duport, K 573), troviamo lo Schubert dei Moments Musicaux, e lo Schumann di Kreisleriana op. 16.
Questa sera alla Sala Santa Cecilia, ore 21. Biglietti da 14 a 26 euro. Informazioni: 06. 80.

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