Una «sciarada» giudiziaria, dove la parola da scoprire è quella che porta al nome dellassassino. Cè un sospetto, ma non la certezza.
Fosse una semplice sfida enigmistica, il giallo lo si potrebbe archiviare come risolto da carabinieri e Procura: Chiara Poggi, giovane e discreta neolaureata ventiseienne, venne trovata in casa, con la testa fracassata, il 13 agosto 2007. Undici giorni più tardi ad essere accusato per quel delitto fu Alberto Stasi, il fidanzato di due anni più giovane. Timido, riservato, pallido come un angelo dagli occhi di ghiaccio. Trascorse soli quattro giorni dietro le sbarre. Il gip di Vigevano, non convinta degli indizi raccolti dal pm, annullò sia il fermo che le misure cautelari.
Un anno dopo, quello di Garlasco assomiglia dunque sempre più a un giallo destinato ad essere «risolto» - ammesso che ci si riesca - solo nelle aule di tribunale. Ora accusa e difesa affilano le armi. Dallafosa pianura della Lomellina sembra di scorgere le montagne nuvolose di Cogne. Perizie, deduzioni, tecnici di parte, investigatori. Ciascuno con la proprie verità. Inconciliabili.
Si è concessa un piccolo vantaggio la Procura di Vigevano. Avrebbe potuto farlo giorni addietro, ma ha deciso di chiudere linchiesta solo a settembre. Scoprire le carte allultimo per ritardare i tempi di reazione della difesa. Alfonso Lauro, procuratore capo, dallombrellone dove sta godendosi le ferie, è laconico: «Seguiremo la procedura prevista dal codice, niente di particolare. E ciò vuol dire o che viene chiesto il rinvio a giudizio o che viene chiesta larchiviazione. È tutto possibile». Un bluff. In mancanza di clamorosi colpi di scena, sarà Alberto Stasi limputato da mandare a processo. Contro di lui una serie di tanti piccoli indizi, il che, volendo parafrasare Agatha Christie, fa una prova. Almeno per gli investigatori. In giorni, settimane, mesi passati a setacciare palmo a palmo la villetta di Garlasco, loro non hanno trovato traccia del passaggio di nessun altro. Insomma, come accaduto con la Franzoni, si procede per esclusione.
Cosa «inchioda» Alberto? Si comincia dalle macchie di sangue e dal suo racconto. Disse di essere entrato nella villetta, nella tarda mattinata del 13 agosto, scavalcando il cancello, perché Chiara non rispondeva al telefono. Era preoccupato. Avevano cenato insieme la sera prima, poi lui era tornato a casa propria. Ecco i primi punti a non tornare: i Ris non trovarono, a livello di impronte, nessun segno del suo passaggio sulla cancellata. E poi, e soprattutto, il sangue: ce nera troppo sul pavimento di casa e sulle scale che portavano alla taverna dove fu rinvenuto il cadavere per non essere calpestato. Le scarpe «Lacoste» di Stasi, invece, risultavano immacolate. Come se sul luogo dellomicidio, almeno con quelle calzature, non fosse mai passato. Quando diede lallarme - la congettura dellaccusa - non era dunque entrato in casa. Non ne aveva bisogno, sapeva che Chiara era morta.
Non lunica incongruenza. Lo studente, laureatosi dalla prigione, nel marzo scorso, con un 110 e lode della Bocconi, aggiunse che la mattina del delitto lui stava lavorando in casa alla tesi. Utilizzando il computer. Una bugia secondo gli esperti del Ris. Il pc sarebbe rimasto acceso, ma solo per tre minuti e per guardare foto hard. Poi spento e riavviato dalle 10.15 (il delitto è collocato più o meno in questarco temporale) alle 12.30, ma senza che alcuno sfiorasse mouse o tastiera. Insomma, inutilizzato. Non è tutto. Secondo i periti lassassino di Chiara dopo lomicidio andò in bagno a lavarsi. Ci sono tracce di sangue. E lunica impronta rilevata sul dispenser del sapone è quella di Alberto. Infine una microtraccia ematica della vittima trovata sulla bici di lui.
La difesa prova con le proprie contro-analisi a smontare limpalcatura accusatoria. Sostenendo che in quella villetta i killer siano stati due. Ed escludendo la presenza di Alberto.
Stavolta per davvero: circa 300 impronte trovate e tutte riconosciute.
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