Cultura e Spettacoli

Ecco il «codice» che libera dalla barbarie, dal duello alla schiavitù

Ecco il «codice» che libera dalla barbarie, dal duello alla schiavitù

Quante tragedie in nome dell’onore ferito, e pensare che fino a due secoli fa bastava poco per sfidarsi all’ultimo sangue, bastava un’insinuazione di disonestà. Come la memorabile contesa tra l’offeso duca di Wellington e il conte di Winchilsea, il 21 marzo 1829, in un’epoca in cui il duello era già illegale ma giustificato dal senso comune, per salvare l’onore. Normalmente si chiedeva «soddisfazione» tra pari grado (mai un contadino avrebbe potuto sfidare un conte) e di duelli è piena la letteratura, dalle tragedie greche alle tragedie napoletane, e innumerevoli ne documenta la storiografia: l’ultimo saggio in materia lo ha scritto Kwame Anthony Appiah: Il codice d’onore. Come cambia la morale (Raffaello Cortina).
In fondo la vita sociale è sempre stata una questione di onore, perfino dove è meno evidente. In Cina, fino all’editto imperiale del 1902, si fasciavano i piedi delle donne fino a impedirne la deambulazione perché avere una donna dai piedi non fasciati, lunghi più di sette centimetri, era considerato disonorevole, hai visto mai se ne andasse a spasso a fare sesso con altri, la solita storia. Nei paesi islamici le donne, per analoghe ragioni, vengono insaccate nei burka, e le adultere ancora si lapidano per salvare l’onore delle famiglie, dove noi occidentali siamo bay ghairat, «senza onore».
D’altra parte noi italiani non è che possiamo vantarci più di tanto, Hawthorne in molti paesini è ancora attuale: basti vedere quanto onore da preservare ci sia ancora in Sicilia e al Sud in generale, e basti pensare che fino al 1981 nel codice penale era in vigore l’articolo 544, che ammetteva il «matrimonio riparatore», riparando perfino agli stupri sui minori. È, per capirsi, la classica vicenda raccontata da Pietro Germi in Sedotta e abbandonata, una storia che comincia già nella Bibbia: «Se un uomo trova una fanciulla che non sia fidanzata e pecca con lei e sono sorpresi ella sarà sua moglie per il fatto che l’ha disonorata e non potrà ripudiarla per tutto il tempo della sua vita».
In politica dopo Tangentopoli l’onore non è più stato un problema per gli onorevoli, in genere si finisce a tarallucci e vino e the alla buvette, ma anche nel suddetto duello tra il duca di Wellington e il conte di Winchilsea le cose si sistemarono senza spargimenti di sangue: il duca sparò per primo ma non colpì il conte, perché sapeva che il conte avrebbe sparando a sua volta in aria, questi gli accordi sottobanco. Tale pratica, già annunciata in partenza, si chiamava deloping, una specie di sceneggiata napoletana ma all’inglese. Gli inglesi, tra l’altro, furono i primi europei a abolire la schiavitù e a concepire con gli illuministi il rispetto per la persona, mentre oggi essere slave è un lusso che si paga caro, non si trova mai nessuno che ti frusta come si deve.
Tuttavia a volte un duello per ravvivare le situazioni ci vorrebbe, in tempi moderni il massimo dello scontro fisico pubblico è stato quello tra Vittorio Sgarbi che lanciava dell’acqua minerale a Roberto D’Agostino e D’Agostino che gli rispondeva con una sberla, e questa scena ha segnato un’epoca perché è avvenuta in tv e quindi tutti soddisfatti, il vero disonore è non essere visti da nessuno.
In particolare onore e disonore sono concetti legati al rispetto, come esemplifica il filosofo Stephen Darwall, e ci sono molti modi di rispettare una persona. Per esempio il «rispetto da apprezzamento» (appraisal respect) implica il rispetto all’interno di un determinato ambito (Meryl Streep è una brava attrice, ma possiamo anche rispettare Silvia Saint come una brava pornostar). Mentre nel «rispetto da riconoscimento» (recognition respect) rispettiamo un magistrato o un poliziotto solo perché hanno il potere di obbligarci a fare qualcosa.
In generale nessuno crede più nel rispetto, l’ultimo giapponese rimasto è Aldo Busi a Montichiari, che recentemente mi ha ordinato di scrivere di lui con «rispetto» perché non mi ha mai concesso nessuna «parità» di grado, come quei vecchi generali in pensione che credono ancora di essere in caserma o come Gheddafi che si presentava con una parata di foto appese alla divisa. Ma io lo rispetto, ci mancherebbe altro.
In compenso gli altri vip cinguettano su Twitter senza vergogna e buttano lì qualsiasi puttanata gli passi per la testa, mentre i non vip preferiscono Facebook.

Lì, nel caso, si può difendere il proprio onore bannando qualcuno, sempre sperando che questo qualcuno ci faccia l’onore di accorgersene.

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