Carissimo Granzotto, leggendo dei malumori suscitati dagli interventi di Sua Santità Benedetto XVI in particolare sull'aborto e su certi medicinali contraccettivi, interventi che sono stati giudicati «intromissioni» negli affari dello Stato, mi è venuta una curiosità diciamo storica. Il Papato si è sempre «intromesso» negli affari dello Stato? Quando cominciò ad «intromettersi»? A partire dalla Donazione di Costantino? In sostanza quel che mi piacerebbe sapere è se il Papato è sempre stato protagonista delle vicende italiane o se lo divenne più tardi. (Tenga presente che quelle di Papa Ratzinger non le considero intromissioni, ma pura e semplice attività pastorale).
Se per intromissione intendiamo ingerenza non ci siamo, caro Martiri. Dopo il collasso dell'impero romano l'Italia e gli italiani (uso queste definizioni per comodità, perché ci si intenda subito) erano praticamente res nullius, alla mercé di chi se la voleva arraffare. Cominciarono i barbari («popoli migranti», bisognerebbe dire in omaggio alla correttezza politica, ma noi seguiteremo a chiamarli barbari) che se la presero a tocchi e bocconi, si fecero poi sotto Bisanzio e via via arabi, normanni, svevi, spagnoli, francesi finché il Piemonte dei Savoia, mettendo fine ad un banchetto che durava da mille e 400 anni, se la pappò tutta intera. Ingerendosi, stavolta sì e alla grande, negli affari di stati sovrani. Ma naturalmente a fin di bene, ci mancherebbe altro. Per tornare alla Chiesa, lasci stare la Donazione di Costantino, che oltre ad essere un palese falso fu rivendicata molto dopo i fatti che stiamo narrando. In quanto interlocutore, che poi significa in quanto a potere, la Chiesa saffacciò sullo scenario italiano nei primi anni del Settecento (senza il mille davanti). Fu quando Liutprando, re longobardo, dopo aver occupato - in seguito alle pressioni di Papa Gregorio III che sentiva il fiato dei bizantini sul collo - una fetta del ducato romano bizantino, donò Sutri e alcuni castelli al Papato. Primo nucleo di quello che diventerà il «Patrimonio di San Pietro», lo Stato della Chiesa.
Liutprando, che la sapeva lunga tanto da essere sì pacis amator, amante della pace, ma alla bisogna anche belli praepotens, fortissimo in guerra, seguitò ad intrattenere buoni rapporti con Roma, che gratificò accrescendo la donazione con lEsarcato (Ravenna e parte dellEmilia-Romagna) e la Pentapoli (Fano, Rimini, Pesaro, Senigallia e Ancona), entrambe strappate ai soliti bizantini. Tutto sembrava andare per il meglio, insomma, quando il re rese lanima a Dio. Gli successe, dopo i brevi interregni di Ildebrando e di Rachis, Astolfo. Avendo in mente di portare sotto il suo dominio lintera Italia, costui pensò bene di revocare le donazioni, ma dovette vedersela con un Papa tosto, Zaccaria, che non avendo le forze materiali per opporsi ad Astolfo si rivolse a Pipino il Breve. Il re franco non aspettava altro e ne seguì una guerra allultimo sangue conclusasi con la vittoria del successore di Pipino, Carlomagno, e la fine del dominio longobardo.
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