Le leggende editoriali raccontano che Bill James sia stato pilota della Raf e agente del controspionaggio britannico, ma lui semplicemente confessa di aver imparato tutto ciò che sa sul mondo del crimine durante l’apprendistato come cronista di nera al Daily Mirror. Da 23 anni è un maestro del noir europeo grazie all’originalità con cui ha caratterizzato i suoi angelici e allo stesso tempo satanici poliziotti Colin Harpur e Desmond Iles, protagonisti di ben 26 avventure, da tempo in cima alle classifiche di vendita britanniche e statunitensi.
Colin e Desmond sono due segugi che non si amano particolarmente l’un l’altro (farebbero di tutto per eliminarsi a vicenda) e che ricorrono sempre a mezzi illeciti per portare a termine le loro indagini, come scopriranno i lettori di Protezione, il primo romanzo di Bill James edito in Italia da Sellerio (pagg. 336, euro 13, traduzione di Alfonso Geraci). Una storia di ricatti e corruzione, dove criminali e poliziotti sembrano avere la stessa faccia e lo stesso carattere malsano, ambientata in una piccola cittadina della costa meridionale britannica. Un noir dai dialoghi graffianti e che a tratti ricorda lo stile violento e sarcastico di certe storie di James Ellroy e Derek Raymond.
«Non ho mai indicato nelle mie storie i veri nomi dei luoghi in cui operano Harpur e Iles - ci confessa James -. Molti hanno pensato che i miei libri fossero ambientati a Brighton, Londra, Cardiff, Hull, Birmingham o Liverpool. Quando la BBC ha realizzato il film per la tv tratto da Protezione, l’ha girato nel sud del Galles, utilizzando molti attori del luogo. Ma la ragione di queste scelte stava unicamente nel fatto che a produrlo era la BBC gallese per il network nazionale. Ci sono due motivi per cui non rivelo mai i nomi delle località dove si svolgono i fatti. Primo: voglio dare un’immagine della Gran Bretagna in generale. Secondo: bisogna stare molto attenti a evitare cause per diffamazione, specialmente quando si mostrano certi comportamenti non proprio edificanti di alti ufficiali di polizia. Da qualche parte potrebbe esistere per davvero un assistente commissario capo Iles».
Come ha scelto i protagonisti della sua singolare saga?
«I personaggi principali sono due alti ufficiali di polizia. Il soprintendente Colin Harpur guida la squadra investigativa di una cittadina di provincia e l’assistente commissario capo Constable Desmond Iles è il capo di Harpur. Harpur ha avuto una storia con la moglie di Iles e Iles non perde occasione per fargliela pagare. A sua volta Iles insidia la giovane figlia di Harpur. Se per un verso entrambi non si fanno scrupoli ad aggirare la legge per arrivare ai criminali, dall’altra mai e poi mai sarebbero disposti a intascare mazzette. Il lettore è spiazzato nello scoprire quanto due importanti ufficiali di polizia possano assumere atteggiamenti così violenti e oltraggiosi».
Quale immagine del mondo inglese viene fuori dai suoi romanzi?
«Io spero di rappresentare la realtà delle città inglesi dei nostri giorni. Molte vicende sono ambientate in strade secondarie non troppo pulite e in locali poco raccomandabili. Evidentemente in questi posti lo spaccio di droga domina la scena».
La corruzione della polizia è uno dei temi centrali di «Protezione».
Quanto è uno stilema del noir e quanto invece un argomento di scottante attualità?
«Harpur e Iles in questo romanzo alterano le prove in modo da avere tra le mani, almeno così sperano, un colpevole. Questo è sbagliato, naturalmente, ma chi legge sa che la persona che vogliono incastrare è realmente colpevole. Un romanzo non è la vita».
C’è un libro giallo al quale si sente particolarmente legato?
«Ci sono polizieschi inglesi molto belli che potrei citare. Ma quello che mi ha influenzato di più è Gli amici di Eddie Coyle (Einaudi, 2005, ndr), di George V. Higgins, un vice procuratore distrettuale americano morto nel 1999. Ha scritto dialoghi stupendi e ha creato un personaggio indimenticabile che appartiene alla disprezzata categoria dei poliziotti disonesti, dei confidenti. I miei libri hanno molti dialoghi e in molti casi i loro protagonisti sono informatori».
Un buon giallo è pura evasione o deve avere forti motivazioni sociali, nella sua costruzione?
«Il giallo può arrivare dove arriva anche il più letterario dei romanzi. Non ha limiti, inclusi i temi sociali. Non è un caso che spesso vi sia trattata la piaga della droga. Tuttavia in un romanzo giallo è più sentita la necessità di intrattenere i lettori e di farli rimanere incollati dalla prima all’ultima pagina. La trama e il ritmo contano quanto una critica alla società o una descrizione».
Come è nata la serie di Harpur e Iles?
«Tutto nacque dalla constatazione che il genere poliziesco tendeva ad appiattire troppo la figura dell’investigatore. Altri autori hanno conferito ai propri detective alcuni tratti negativi, però tutto sommato non troppo negativi: ubriacature occasionali, facile irritabilità, pessimismo. Sono stato cronista di “nera” per il londinese Daily Mirror e ho avuto a che fare con moltissimi ufficiali di polizia su casi importanti. Volevo quindi sfidare il lettore mettendolo a contatto con due alti graduati con qualche difetto ben più grave».
Come giudica gli adattamenti cinematografici e televisivi delle sue opere, per ora inediti in Italia?
«Buoni e molto efficaci nella narrazione. Tuttavia li ho trovate deboli sul versante umoristico. Ma può darsi che io sopravvaluti il mio sense of humour!».
È facile scrivere un giallo o ogni volta è una nuova, sofferta avventura?
«Come la maggior parte degli scrittori, sono terrorizzato dalla pagina bianca. Per il primo quarto del libro procedo sempre faticosamente. Ma ciò che ho sviluppato in questa prima parte contiene tutti gli elementi su cui posso lavorare per sviluppare al meglio la trama. Ciò mi permette di inventare e scrivere molto più facilmente. E sull’ultimo quarto si corre al galoppo».
Si diverte di più a descrivere i poliziotti o i criminali?
«I criminali.
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