Ecco i dieci anni di Inter Campus «Formiamo persone, non calciatori»

nostro inviato a Locarno

Un viaggio dove c’è poca vita nella speranza di portarcene un po’, magari con un pallone in mano e una maglietta a strisce. E magari dietro c’è anche un po’ di retorica ma quasi diecimila bambini sono tanti, tremila riportati a scuola solo in Brasile anche, due fratellini in Cina che dal giorno dopo smettono di sfidarsi a chi acchiappa il gallo stringono anche un po’ il cuore e 400 hezbollah a lezione per capire cosa sia il Progetto Inter campus fanno pensare che non è solo un gioco. Dieci anni di lavoro duro negli ombelichi del mondo e senza tirar fuori neppure un campioncino per rientrare dalle spese: «Perché non è questo lo scopo - suggerisce l’ideatore Massimo Moretti -. Solo una piccolissima percentuale di questi bambini farà il calciatore ma il vero obiettivo è farne delle brave persone».
Ieri al Festival internazionale del cinema di Locarno, Gabriele Salvatores regista di Petites historias das crianças, il film documentario sull’attività dell’Inter per i ragazzini dai 7 ai 17 anni, ha spiegato che regalare la maglia per loro è un modo per identificarsi, sentirsi parte di una squadra e quindi per sentirsi meno soli. Moratti invece ha cercato subito di scansare equivoci: «Siamo arrivati a 17 Paesi coinvolti, adesso mi si chiede di continuare, di coinvolgerne altri, ma io dico che è un rischio e questa è pubblicità che non mi piace, si tratta di bambini, è una cosa delicata, si deve crescere ma con grande attenzione».
Certamente siamo davanti a un evento unico, il ministro degli esteri libanese ha chiesto addirittura l’intervento della macchina organizzativa degli Inter Campus per creare un clima di fiducia fra i bambini rimasti orfani e fra quelli più disagiati. L’Onu ha chiesto a Massimo Moratti di proporre il modello a Cuba. Con questo non è che all’Inter siano lì a fare beneficenza: «Per un club sarebbe facile - spiega Moratti -, organizza un incontro e devolve l’incasso. No, noi siamo andati lì: volete la maglia dell’Inter? Benissimo, andate a scuola». E l’evento di ieri ha anche l’ambizione di coinvolgere nuove aziende con un buon ritorno come immagine positiva legata all’impegno sociale. Quasi diecimila bambini tolti dalle strade sono niente, ma sono un grandissimo inizio. E qualcuno ha voluto sottolinearlo al presidente dell’Inter: scusi, ma lei non si sente a disagio nell’operare in un mondo del calcio sempre più meschino?
«Non provo alcun imbarazzo - ha risposto Moratti -, ognuno ha le proprie meschinità.

Quello che dà maggior fastidio è quando ti chiedono: perché lo fai? In realtà non hai risposta, il calcio si esprime a seconda dei suoi momenti storici, ha avuto le sue vicissitudini ma l’importante è non essere nostalgici di quei momenti». Al presidente è stato anche chiesto dell’Inter e basta, ma non ha aggiunto nulla di nuovo e per una volta l’argomento era fuori tema.

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