Ecco i magnifici bilanci: metà degli atenei spende tutti i fondi in paghe

Venti università sono sull’orlo del dissesto finanziario: salve solo grazie agli sconti contabili

Giovedì scorso la Crui (Conferenza dei rettori delle università italiane) ha dato voce al suo allarme per l’approvazione della legge finanziaria, testo che prevede per le università italiane, come per tutti gli altri settori della spesa pubblica, forti tagli alle risorse: «Il Paese deve sapere che con tale misura, se mantenuta e non modificata, si determinerà una condizione finanziaria del tutto incontrollabile e ingestibile, con effetti dirompenti per gli atenei».
Certo che dando una scorsa alle voci di spesa degli atenei italiani, ipotizzare scenari contabili meno efficienti risulta difficile. Sei università spendono per gli stipendi del personale oltre il 90 per cento dell’intero ammontare dell’Ffo (Fondo ordinario per l’università), tetto massimo fissato per legge. Come dire, di ogni cento euro spesi, oltre novanta se ne vanno per le buste paga di docenti, ricercatori e personale amministrativo. È quanto accade per esempio all’Orientale di Napoli (prima tra le università spendaccione, con un investimento negli stipendi del 95,8 per cento del bilancio) all’università di Firenze (92,1 per cento) e Trieste (91,6).
Ma il quadro che emerge dai dati del ministero dell’Università pubblicati ieri dal Sole24Ore rappresenta una realtà ancora peggiore: perché se è vero che formalmente sono sette gli atenei che hanno già sfondato il tetto del 90 per cento, in realtà, se non venissero applicati gli «sconti» contabili (non computazione degli incrementi stipendiali annui e riduzione di un terzo dei costi per il personale convenzionato con il sistema sanitario nazionale) le università dai bilanci irregolari sarebbero addirittura 26. E la situazione, oltre a essere già grave, peggiora: tranne due eccezioni, Pisa e Catania, tutte le università hanno incrementato dal 2006 al 2007 la percentuale di bilancio data agli stipendi.
Ma allora, distribuite le buste paga, saldati i conti per la manutenzione di edifici, laboratori e attrezzature, cosa resta nelle casse degli atenei per finanziare la ricerca? «Purtroppo quasi nulla» ammette Giulio Ballio, rettore del Politecnico di Milano. Affermazione doppiamente sconfortante, visto che l’ateneo guidato dal professor Ballio è uno dei più virtuosi d’Italia, con un’incidenza della spesa per le buste paga del solo 63,9 per cento. Già, perché accanto a università dai conti dissestati, ci sono molte realtà importanti in cui gli stipendi pesano per non più dei due terzi del bilancio. Nel capoluogo lombardo c’è anche Milano Bicocca (66 per cento), mentre Roma può contare su Roma Tre (70,2) e Roma Iusm (50,6). Campione assoluto di bilancio si è poi rivelata l’università di Catanzaro (solo il 43,7 per cento di spesa per le buste paga). I motivi di questa differenziazione nel club delle università sono di facile individuazione: giacché le regole sono le stesse per tutti, l’origine delle differenze va cercata nella gestione interna delle facoltà.

Chi ha promosso e arruolato troppo, ora si ritrova ad affondare nel rosso dei bilanci.
La Crui ha ribadito anche «la valutazione fortemente negativa sul provvedimento del governo». Forse avrebbe dovuto con altrettanta veemenza vigilare sui bilanci.

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