Ecco i piani di Al Qaida: «Daremo una lezione alla città di Berlusconi»

Enrico Lagattolla

MilanoRitratto di un commando dall’interno. Nelle mani della polizia marocchina, con garanzie processuali assai più blande di quelle italiane, parlano gli estremisti islamici che volevano colpire il nostro paese. Doveva saltare San Petronio, il Duomo di Bologna, per colpa degli affreschi blasfemi che ritraggono Maometto. Doveva saltare - in occasione delle elezioni del 9 aprile 2006 - il metrò di Milano, «la città di Berlusconi», colpevole di avere inviato i soldati in Irak. E insieme agli obiettivi italiani dovevano essere colpiti gli altri paesi infedeli: la Francia, la Danimarca, e soprattutto gli Stati Uniti, con un tunnel da scavare sotto il consolato americano a Rabat.
Ma non sono queste le uniche rivelazioni che arrivano dalla retata disposta ieri dal pool Antiterrorismo della Procura milanese, con cinque ordini di custodia. C’è anche la conferma di quanto si temeva da tempo: sui barconi che arrivano dalla Libia, confusi tra i disperati dei viaggi della speranza, ci sono anche i manovali del terrore. È su uno di questi barconi che è rientrato nel nostro paese il tunisino Houcine Tarkhani, impiegato del centro islamico milanese di viale Jenner, che coordinava i gruppi pronti al martirio e faceva da basista per gli attentati. Era fuggito dall’Italia due anni fa, quando le prime notizie sull’attacco a San Petronio avevano preso a circolare. Questa primavera aveva deciso che i tempi erano maturi per tornare in Italia. Mischiato al popolo dei barconi, Tarkhani era fino a pochi giorni fa ospite del Cie di Caltanissetta. E lì lo hanno arrestato i carabinieri del Ros di Milano.
I VERBALI
È il 13 marzo 2006 quando, in un carcere in Marocco, la polizia del regno maghrebino interroga Mohamed M’Sahel, detto Mohamed il Tunisino. Gli accoliti, nelle telefonate intercettate, si rivolgono a lui con deferenza chiamandolo «Sceicco». Ma davanti ai poliziotti, M’Sahel si lascia andare ad una lunga confessione. Sono dichiarazioni che un mese dopo, quando riceverà la visita dei magistrati milanesi, cercherà di attutire, di ridimensionare, «ho parlato per paura». Ma i riscontri sono numerosi: a partire dalle centinaia di chiacchierate intercettate dalle microspie dei Ros, che confermano il suo ruolo centrale nelle retrovie del terrore. Era lui, «Mohamed il Tunisino», ad organizzare l’invio in Irak degli shahid, gli attentatori suicidi. E a fare da punto di riferimento per gli attacchi agli obiettivi degli infedeli in Occidente.
Dichiara Mohamed M’Sahel: «Vi era un piano per colpire con un attentato il Consolato Americano in Rabat utilizzando un’autobomba all’inizio del 2006. Salim Ouahrani disse ad Abdelfattah che tale attentato era molto difficile od impossibile da realizzare e gli suggerì di utilizzare un tunnel nelle vicinanze del Consolato, ma non si dilungò nei dettagli». Su questo punto un altro estremista, Abdelghani Aouiouiche, interrogato il giorno prima era stato più preciso: bisognava «colpire l’ambasciata americana a Rabat usando esplosivi progettati da “Alì l’algerino” posizionandoli in un sottopassaggio situato sotto di essa, affinché fosse più facile raggiungerla, e ciò in quanto l’ambasciata è un simbolo per gli iniqui infedeli. Quindi ci sarà un clamore di ampio livello e influenzerà enormemente i Paesi infedeli nel mondo».
Dice ancora M’Sahel: «In un altro incontro tra me e Salim Ouahrani e Abdelghani, quest’ultimo ci disse che si stava preparando per un progetto relativo ad una operazione jihadista in Francia. Non ricordo bene i dettagli, ma disse che sarebbe dovuto avvenire il 14 luglio». Anche su questo punto, un complice fornisce qualche particolare in più: «Far esplodere il quartier generale dei servizi segreti francesi, e anche il ristorante nel caffè dei servizi segreti frequentato dai loro membri. Far esplodere la linea metropolitana nr.14 che connette "Saint Lazar" e "Biblioteca Mitterrand" e l'esplosione del centro commerciale "La Difesa"».
Ancora M’Sahel: «Salim, che sicuramente era coinvolto nel progetto, disse che Abdelghani non poteva decidere la data ma che era compito del leader di Al Qaida. Il 27 febbraio 2006 mi recai con Salim ed Abdelghani a Ouajdi col treno, ci recammo in Algeri illegalmente (...) Durante questo incontro "Salim della Capitale" mi diede una lettera di Abu Hamza l’algerino che è uno dei leaders di Al Qaida. Nella missiva vi erano delle informazioni su operazioni jihadiste in Europa e specialmente in Italia accompagnate da una raccomandazione del “leone dell’islam leader di Al Qaida Osama bin Laden”, “Salim della Capitale” mise in allerta Abdelghani e Salim Ouahrani di porre in essere i dettagli organizzativi delle attività in Europa. Mi diede anche un pezzo di carta in cui era segnato un numero di codice che potevo usare una volta in Italia al fine di mettermi in contatto con il gruppo. Poi per ragioni di sicurezza bruciarono sia la lettera che il pezzo di carta. Nel contempo Salim della Capitale mi disse di cercare di creare una atmosfera positiva in Italia per reclutare una persona di nazionalità italiana o di altra nazionalità europea la fine di poterlo mandare in Pakistan per farlo incontrare con Al Zawahiri il secondo in comando di Al Qaida affinché potesse ricevere dall’egiziano ulteriori informazioni sul progetto jihadista ed il tempo in cui porlo in essere.
Quando ero in Algeri con “Salim della Capitale” parlammo del piano jihadista di colpire con esplosivi la metropolitana di Milano e la chiesa a Bologna nella quale è presente il quadro raffigurante il Profeta.
Avremmo realizzato l’attentato attraverso un gruppo di massimo 5 persone che avrei reclutato in Italia; costoro avrebbero portato uno zaino esplosivo che avrebbero dovuto azionare all’interno della metropolitana. L’attacco sarebbe dovuto avvenire prima delle elezioni politiche al fine di variare il risultato elettorale come avvenne a Madrid il 11 marzo 2004. Scegliemmo Milano poiché il presidente Berlusconi proveniva da questa città e perché le truppe italiane stanno collaborando con quelle inglesi e americane nella guerra in Irak.
Salim Ouahrani mi ordinò di affittare un appartamento a Milano in modo che potesse utilizzarlo come luogo in cui collocare le persone reclutate per l’operazione. Inoltre, mi chiese di reperire un passaporto falsificato e mi diede due sue fotografie.

Queste le avete trovate quando mi avete arrestato. Il passaporto gli sarebbe servito per permettergli di raggiungermi in Italia e iniziare a reperire l’esplosivo da utilizzare nell’attentato. Infatti aveva una alta specializzazione in questo campo».

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