Ecco i quattro palazzi fantasma del Comune

Per gli abitanti di via Canonica, è ormai una presenza familiare anche se lievemente inquietante. Il grande palazzo ha le finestre sempre chiuse. Sotto, la vita scorre con i suoi ritmi consueti, in questa fetta di Milano tra la Chinatown di via Paolo Sarpi e il polmone verde del Parco Sempione. Ma dal portone di legno non entra e non esce mai nessuno, tranne i vigilantes che lo proteggono dalle occupazioni abusive. Da dodici anni il palazzo all’angolo con via Cesariano è pronto per essere abitato. Quarantacinque appartamenti, valore di mercato intorno ai cinquemila euro al metro, e forse qualcosa in più per quelli affacciati sul parco. Ma nessuno li compra, anche se il Comune ha deciso di mettere lo stabile sul mercato per fare cassa. Il motivo è semplice: da anni il Sicet, un sindacato di inquilini si batte contro la vendita del palazzo, chiedendo che rimanga nel patrimonio comunale, e per questo ha avviato una lunga battaglia legale, prima davanti al tribunale ordinario, adesso davanti al Tar. E chi si compra un appartamento con il rischio che domani il Tar glielo porti via? Così il palazzo resta lì, e invecchia un po’ per volta dietro le finestre chiuse, in attesa che i giudici decidano la sua sorte.
La vicenda è resa surreale dal fatto che ormai il Comune non potrebbe più tornare sui suoi passi - come alcuni esponenti della nuova maggioranza pure vorrebbero - per il semplice motivo che una parte dei soldi se li è già messi in tasca. Il palazzo infatti fa parte del piano di cosiddette «cartolarizzazioni», ovvero la vendita di parte del patrimonio edilizio comunale per fare cassa. Per molti anni si era discusso di usarlo nei modi più disparati, per esempio come casa alloggio per mariti separati, ma alla fine si era deciso di metterlo sul mercato. Ed era stato destinato a far parte di un fondo, chiamato «Milano Uno», insieme ad altri beni municipali. Tra questi, altri tre grossi stabili, coinvolti ora dallo stesso destino: ricorso del Sicet ai giudici, causa che si trascina, i palazzi che restano lì, inutilizzati. Due sono in corso XXII Marzo, ai numeri 30 e 22: il primo è pronto da abitare, il secondo è ancora uno scheletro di cemento. L’ultimo è uno stabile che fa parte della storia di Milano: via Cicco Simonetta 15, nel cuore della vecchia casbah di Porta Genova, uno dei «Ricoveri notturni Levi», donato nel 1904 al Comune da Giuseppe Levi e inglobato nel «Comitato per i ricoveri notturni gratuiti». Anche il vecchio dormitorio è stato ristrutturato a spese del Comune e messo in vendita. E anch’esso è ora lì, fermo e chiuso, in attesa che il Tar prima, e il Consiglio di Stato poi decidano la sorte del ricorso del Sicet.


A gestire il fondo Milano Uno per conto del Comune è Bnp Paribas: l’obiettivo è - con l’eccezione dello stabile ancora da ultimare di corso XXII Marzo 22 - di vendere appartamento per appartamento, per consentire di portare a casa più soldi possibile. Offerte ce ne sono state tante, ma appena sentono che sull’affare pende la spada del Tar i potenziali acquirenti si defilano. E come dargli torto?

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