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Ecco le icone della moda che hanno fatto la storia

Dall'uniforme all'abito, dalla seta al nylon: i passaggi d'epoca si riflettono nell'immagine

Ecco le icone della moda che hanno fatto la storia

Il 28 giugno 1919, per la firma del trattato di Versailles, Lloyd George, Clemenceau e Woodrow Wilson indossano il tight con giacca da frac, mentre gli altri primi ministri (compreso Vittorio Emanuele Orlando) portano abiti dalla linea dritta. Il New York Times sottolinea l'evoluzione dell'abbigliamento rispetto al precedente appuntamento di Versailles (1870) quando il cancelliere Bismarck spiccava con la sua uniforme bianca riccamente decorata. Il Times sottolinea addirittura che il passaggio dall'uniforme all'abito sancisce «il passaggio dal vecchio ordine al nuovo mondo».

Questo per spiegare quanto l'abbigliamento abbia influito e influisca sulla storia e su tutti gli avvenimenti della nostra vita, come racconta il sontuoso volume Storia della moda dal 1850 ad oggi di Daniel James Cole e Nancy Deihl (Einaudi, pagg. 480, euro 90) straricco di immagini e di curiosità. Da sempre la moda è un indicatore sociale e un affare terribilmente serio, tanto che la famosa sartoria da uomo Henry Poole di Londra (ancora attivissima in Savile Row, la via dei sarti) dichiara che nel 1914 la guerra segna «la fine della civilizzazione». Le uniformi influenzano l'abbigliamento e le donne cominciano a vestire con stile maschile. Tra le innovazioni «militari» ricordiamo nel 1913 l'invenzione della zip da parte di Gideon Sündback e il trench Burberry (un vero must ancora oggi) sviluppatosi dal famoso Tielocken, che prende il nome dalla trincea di guerra. Numerosi sono comunque i sarti che negli anni Dieci hanno fatto la storia, da Jeanne Lanvin con fantasie grafiche, ispirazioni impressioniste, ricami e decorazioni, a Callot Soeurs, considerata una delle maison più all'avanguardia con i suoi «completi pigiama». Per arrivare, alla fine degli anni Dieci, a uno stile di vita veramente moderno segnato da sarti come Jean Patou, Lucien Lelong e soprattutto Chanel, nonché dalle grafiche vivaci di Lepape e dagli «audaci» disegni di Wimmer-Wisgrill. Nomi come Helena Rubinstein e Elizabeth Arden lanciano l'industria dei cosmetici aprendo saloni a Londra, Parigi, New York.

Nel corso di decenni personaggi come Rita Hayworth e Jackie Kennedy sono stati icone di stile delle quali ormai si sa tutto. Ma chi ricorda che a metà dell'800 l'italiana Contessa di Castiglione era una femme fatale (amante di Napoleone III) inseguita da tutta la stampa mondana e le cui apparizioni ai balli di corte divennero leggendarie? Pur non avendo caratterizzato uno stile come l'imperatrice Elisabetta d'Austria, una delle icone più importanti della moda del XIX secolo, i suoi abiti (firmati da Mme Roger) facevano sempre notizia, come la sua mania per i ritratti fotografici. Celebre era anche la milanese Marchesa Casati, a lungo amante di D'Annunzio, nota per le sue toilette oltraggiose che vantano persino una collana di serpenti vivi. Tra le dive di quell'«epoca d'oro» ci sono la cantante e attrice Lillian Russell, grande star del suo tempo (sposata con un miliardario americano e soprannominata «Diamond Lil»), la quale aprì la strada al successo di «donne formose» come Mae West e Marilyn Monroe e Nellie Melba, la Callas dell'epoca che cantava a Monte Carlo come a New York guadagnando cifre sbalorditive. Il celebre chef francese Auguste Escoffier inventò per lei la pesca Melba. Tra le donne più eleganti e fotografate di fine XIX secolo ci fu anche Alice Roosevelt, la figlia del presidente Theodore, la cui influenza sulla moda americana fu molto importante e sottolineata anche dalla canzone Alice Blue Gown.

Accanto a tante icone della moda spicca per contrasto la storica (e dimenticata) figura di Eugen Sandow (1867-1925), il padre del moderno body building. Prima di Sandow gli uomini forti erano attrazioni da baraccone, ma lui trasformò la forza in scienza. Si esibiva nudo (con una foglia che gli copriva il pene) e posava, esibendo il proprio corpo, dopo aver studiato le antiche sculture greche e romane. Il suo machismo si contrapponeva fortemente all'estetica sofisticata di Oscar Wilde e al dandismo del Principe di Galles, Edoardo. Proprio Wilde, simbolo dell'estetismo e dell'«abito estetico» con le sue giacche di velluto morbide, i pantaloni alle ginocchia e i capelli lunghi e ben curati, è vicino alle cause progressiste ed è un nuovo tipo di intellettuale particolarmente alternativo. I seguaci dello stile estetico saranno i principali sostenitori di Liberty of London (il celebre magazzino nato nel 1875 e ancora oggi attrazione londinese) che diventerà presto uno dei luoghi di culto vendendo tessuti di ogni tipo, gioielli, drapperie, oggetti d'arredamento e, dal 1884, abiti artistici.

Negli anni Quaranta del '900 si entra in una nuova guerra che - molto più della precedente - limita il potenziale creativo della moda. Luoghi occupati dai tedeschi come Parigi non possono più curare le loro creazioni e in Gran Bretagna, oltre al razionamento dei capi d'abbigliamento, nasce la «siren suit», una tuta che può essere facilmente indossata e tolta durante i raid aerei. I nazisti invece, imitando l'industria francese, cercano di fregiare un loro stile estetico autonomo con il Deutsches Mode Institut diretto da Magda Goebbels. Modelle sportive e atletiche - in contrasto con quelle androgine e raffinate parigine - presentano abiti elaborati, spesso ispirati dai racconti eroici rappresentati nelle opere di Wagner. Intanto negli Usa, nonostante il fermento su molteplici fronti, aumenta la creatività in ogni campo. Nel 1944 al MoMA lo storico della moda Bernard Rudolfsky cura «Are Clothes Modern?», prima mostra sulla moda. Il settore più colpito, anche in Usa, è quello delle calze femminili, poiché il governo americano impone un embargo contro la seta giapponese. Parte così la caccia alle calze di seta e i negozi limitano il numero di paia vendibili a ciascuna persona.

Cresce la vendita di quelle in nylon ma, già dal 1943, le calze sono introvabili (nasce anche la canzone When the Nylons Bloom Again del pianista Fats Waller) e le donne sono costrette ad usare calze di lana, di cotone o a «truccarsi le gambe».

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