Ecco come Israele intercetta i kamikaze

Gian Micalessin

«La ricetta infallibile non esiste, bisogna individuarli quando l’attentato è ancora in preparazione, e se il terrorista è vicino all’obbiettivo poter contare sull’aiuto di tutti i cittadini». Parole di un ufficiale dello Shin Bet, un agente dei servizi di sicurezza israeliani specializzato negli interrogatori degli uomini-bomba e dei loro mandanti. L’avevamo incontrato nel marzo del 2004. Lo sceicco Yassin, capo spirituale di Hamas, era appena stato ucciso, e il Paese temeva un’ondata di attentati. «Fermarli quando la bomba è innescata - spiegava - è una lotteria, se non hai fortuna fallirai perché i terroristi hanno studiato le tue misure di prevenzione. Per sconfiggerli devi anticiparli».
Il gioco in contropiede degli israeliani si basa innanzitutto sul fattore umano. A differenza dei loro colleghi occidentali, lo Shin Bet conta su centinaia di «collaboratori» disseminati all’interno delle organizzazioni palestinesi e specializzati nel riferire tutti gli impercettibili segnali di un imminente attentato. Gli attentatori suicidi «spariscono» da casa nelle 48 ore precedenti la missione, dunque ogni assenza sospetta viene registrata e riferita. Gli acquisti di fertilizzanti, utilizzati per fabbricare l’esplosivo, sono un altro segnale. In questi casi tocca agli infiltrati, al lavoro sotto copertura nei territori palestinesi, stringere il cerchio intorno alla cellula sospetta.
Il primo obbiettivo è mettere le mani su un fiancheggiatore utilizzato per trasportare le cinture esplosive, sulle donne incaricate di cucirle, su un ragazzo spedito a individuare un possibile obbiettivo. I gregari sono più facili da catturare dei loro capi e «parlano» più velocemente. Non conoscono l’intero piano, ma forniscono una traccia per risalire agli organizzatori. «Il lavoro, a quel punto, è un gioco del domino con ritmi da formula uno - spiegava l’ufficiale -, dobbiamo trovare i pianificatori e smantellare il meccanismo che muove il terrorista suicida prima della consegna della cintura esplosiva, quindi dalle sei alle 24 ore prima della strage. Se non ci riesci devi assolutamente intercettarlo, perché a quel punto neppure la cattura dei mandanti può servire a fermarla».
Anche in questa fase gli esperti israeliani godono di innegabili vantaggi. Il primo è costituito dalla capillare e rodata rete di prevenzione, il secondo dalla collaborazione dei cittadini. L’allarme fa scattare posti di blocco concentrici intorno a tutte le città. Qui i viaggiatori sospetti vengono controllati utilizzando cani addestrati a «sniffare» l’esplosivo o scanner in grado di individuare la presenza di particelle di esplosivo su vestiti od oggetti personali. Intorno ai potenziali obbiettivi urbani sono già al lavoro decine di agenti in borghese. La loro sorveglianza è facilitata dalla capillare presenza di un esercito addestrato a neutralizzare i kamikaze. E al fianco dei militari vigila l’intera popolazione. Quasi tutti gli uomini sono riservisti. La maggior parte delle donne ha vestito la divisa per un anno. Atteggiamenti, persone e pacchi sospetti vengono immediatamente segnalati, soprattutto se si è diffusa la notizia di un allarme bomba.
L’ultimo blocco è dietro la porta del ristorante o dell’autobus da colpire. I buttafuori antikamikaze e gli autisti degli autobus sono tutti armati e addestrati a individuare un potenziale terrorista.

«Se è estate e ha un giubbotto troppo pesante, se fa freddo ma lui suda, se paga il biglietto e non conta il resto, se cerca di salire e correre a sedersi - spiegava un autista - allora non pensarci troppo, spingilo giù, chiudi le porte e corri via».

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