RomaParola dordine, «Rifondazione». Non comunista, stavolta, ma Pdl.
La corrente finiana esce allo scoperto con un vero e proprio manifesto politico che dà per morto e «senza nessun futuro» lattuale Pdl a impronta berlusconiana, e ne invoca un nuovo e «rifondato». Come? Lo spiega appunto il manifesto pubblicato ieri dal Secolo, articolato in più punti e a più voci dai principali esponenti politici e teste duovo vicine al presidente della Camera. Un numero domenicale del quotidiano ex An quasi monografico, con un titolo di copertina dubitativo: «Un partito vero: ma ci possiamo ancora credere?». E con un leit motiv di fondo: nella tempesta giudiziaria che investe la maggioranza, Gianfranco Fini è deciso a issare la bandiera della «questione morale» e della «legalità» e a porre un aut aut al premier: nel partito, o scegli la parte che ieri Giulio Tremonti ha ribattezzato «cassetta di mele marce» oppure fai piazza pulita e scegli noi, il vero argine contro «la caduta etica» del centrodestra. Altrimenti «il malcostume che ha colpito al cuore il partito» tracimerà senza scampo.
Sulla carta, la corrente finiana non ha i numeri (in Parlamento e nel partito) per dare ultimatum al Cavaliere. Ma è evidente che, dalle parti del presidente della Camera, si è convinti che i rapporti di forza attuali potrebbero essere cambiati da fattori esterni, a cominciare da un Big Bang giudiziario. Non a caso i richiami alletica, alla questione morale e alla lotta al malaffare ricorrono in tutti gli interventi pubblicati sul Secolo di ieri, insieme alla lista dei nomi di berluscones finiti nel mirino delle inchieste: da Denis Verdini (il coordinatore indicato come principale teorico del «partito del leader» che non piace a Fini) ad Aldo Brancher, da Nicola Cosentino a Claudio Scajola.
I colonnelli finiani indicano anche le tappe e gli obiettivi del percorso: incontro «indifferibile» tra i due co-fondatori, Fini e Berlusconi; sottoscrizione di «un nuovo atto fondativo» del Pdl a impronta finiana; azzeramento degli attuali vertici; congresso; nomina di un «coordinatore unico». Idea questa bocciata seccamente ieri dal capogruppo Pdl Fabrizio Cicchitto: «Sarebbe una semplificazione che non esprime lattuale realtà del partito», nella quale larea ex An è rappresentata non da un finiano ma dal filo-berlusconiano La Russa. Parole dordine del «nuovo» partito, per i finiani: «Legalità, lotta alla corruzione, unità dItalia», per «farla finita con la golden share» di una Lega troppo «invasiva e pervasiva». Nuova classe dirigente «moralmente integra e preparata», «codice etico» interno.
La sfida berlusconiana, spiegano i finiani, è davanti a un bivio: o conserva il proprio modello di «partito azienda» carismatico, che «non esiste al di fuori del suo leader», e allora «si rischia di andare fuori strada con una macchina senza controllo» e di «non avere nessun futuro», come sostiene leditoriale del Secolo, oppure si sceglie la strada «politica». E si «rifonda un partito politico degno di questo nome», cosa che attualmente il Pdl non è.
Le «rifondazioni», insegna la storia dellex Pci, preludono a scissioni. Ma non è questo lintento, assicurano gli autorevoli firmatari sul Secolo: anzi è proprio il fatto di «avere a cuore il futuro del nostro soggetto politico» a muoverli. Casomai, come scrive Italo Bocchino, si tratta di interrogarsi sui «prossimi scenari», e chiedersi come deve essere fatto il Pdl «dopo Berlusconi». Perché il Cavaliere non è eterno, e al momento si trova sotto un pesante assedio mediatico-giudiziario che accerchia i suoi uomini e mette in difficoltà lui e tutto il governo. E, tiene a sottolineare Bocchino, «sulla questione morale Berlusconi è molto meno forte, da quando non cè più sintonia con il presidente della Camera».
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