Crisi? Ma quale crisi? Stephen Schwarzman non conosce nemmeno la parola. Lui è il presidente del più grande fondo locusta del mondo, il re degli speculatori. Per mestiere compra società, le ristruttura, taglia, licenzia. Poi le rivende. Non ha mai prodotto nulla, non conosce né fabbriche né operai. Lavora solo con gli uomini di Wall Street e legioni di avvocati. In sintesi è la personificazione della finanza estrema che ha portato l’economia mondiale sull’orlo dell’abisso. Schwarzman non se ne è accorto: nell’annus horribilis 2008 ha guadagnato 2 milioni di dollari al giorno, più di 83mila dollari l’ora, Natale e Capodanno compresi. In tutto 702 milioni di dollari, 491 milioni di euro.
A versarglieli sull’unghia è stata Blackstone, la società di private equity di cui è numero uno. Schwarzman l’ha fondata 24 anni fa. Nel giugno del 2007, quando ancora i mercati sembravano destinati a un eterno rialzo, l’ha quotata in Borsa. Allora, per comprare le sue azioni c’era la coda: le richieste superarono di quattro volte le disponibilità. Anche il governo cinese abboccò. Attraverso un fondo di investimento, il China Investment Corp, impegnò 3 miliardi di dollari. Schwarzman guadagnò 900 milioni riducendo la sua quota di controllo e conservò nel portafoglio un tranquillizzante 24% del capitale, che gli permette ancora oggi di fare il bello e il cattivo tempo. In più stabilì una piccola clausola che allora non fece impressione a nessuno: qualunque cosa fosse successa, Blackstone avrebbe dovuto versargli nei quattro anni successivi, 4 miliardi di dollari, pagabili in titoli della società, per la sua attività di presidente e amministratore delegato.
Nel frattempo il mondo è cambiato: alla quotazione i titoli della società valevano 31 dollari, nel momento peggiore della crisi precipitarono a un quarto di quella cifra, oggi valgono sì e no 15 dollari. Nell’ultimo trimestre del 2008 il bilancio è andato in rosso per 827 milioni. Schwarzman non ha fatto una piega ed è passato alla cassa. Secondo Corporate library, la società che nei giorni scorsi ha pubblicato la classifica dei manager che hanno guadagnato di più in America, il suo stipendio complessivo supera di 150 milioni quello del numero due, il re dei computer Larry Ellison. Ai gradini successivi della graduatoria vengono tre executive del settore petrolifero: Ray Irani (numero uno di Occidental Petroleum, 222 milioni incassati nel 2008), John Hess (Hess Corporation, 159 milioni) Michael Watford (Ultra Petroleum, 116 milioni).
A fare rumore è però la vicenda Schwarzman, destinata a diventare un simbolo della difficoltà di smontare i meccanismi della finanza più spericolata degli ultimi quindici anni. Il governo americano ha creato un’autorità incaricata di sorvegliare bonus e stipendi dei manager di Wall Street. Ma la sua competenza si ferma ai gruppi che hanno ottenuto un aiuto pubblico. E non è il caso di Blackstone. In più i contratti sono contratti, anche in tempi di crisi. E Schwarzman, per quanto possano sembrare abnormi e ingiustificate le sue retribuzioni, incassa solo quello che per legge gli spetta. Così, la società che ha fatto i conti in tasca ai manager Usa ha già potuto anticipare chi sarà il più pagato nei prossimi tre anni: naturalmente Schwarzman, fino al raggiungimento della fatidica quota 4 miliardi.
Quanto all’interessato la capacità di spendere non gli manca: l’anno scorso, in una botta sola, ha versato un contributo di 100 milioni di dollari alla New York Public Library. Il suo stile di vita, per quanto riservato, non è certo modesto. Abita in un superattico di 2mila metri quadrati al 740 di Park Avenue, l’indirizzo più prestigioso di Manhattan.
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