Ecco il manifesto politico di Benedetto XVI

Andrea Tornielli

nostro inviato a Verona

Un discorso ampio e programmatico, quasi un «manifesto», per invitare i cattolici italiani a «restituire alla fede cristiana piena cittadinanza» nella società e nella cultura. Un appello ai cristiani perché non siano ripiegati su se stessi ma testimonino la loro fede negli ambiti dell’educazione e della carità, ma anche della politica. Benedetto XVI arriva a Verona e davanti ai 2.700 delegati legge un testo che di fatto «consacra» la linea del presidente uscente della Cei, Camillo Ruini, affermando che in questo ruolo di rinnovata testimonianza pubblica la Chiesa italiana «renderà un grande servizio anche all’Europa e al mondo».
Interrotto quarantuno volte dagli applausi della platea, Papa Ratzinger nel suo intervento alla Fiera di Verona ha presentato il 4° convegno della Chiesa italiana come una «nuova tappa del cammino di attuazione del Vaticano II» e ha definito l’Italia come «un terreno profondamente bisognoso e al contempo molto favorevole» per la testimonianza cristiana. Bisognoso, perché anche nel nostro Paese è presente «quella cultura che predomina in Occidente e che vorrebbe porsi come universale e autosufficiente», dalla quale deriva «una nuova ondata di illuminismo e di laicismo» che riduce il razionale soltanto a ciò che è «sperimentabile e calcolabile», mentre «sul piano della prassi la libertà individuale viene eretta a valore fondamentale». Così «Dio rimane escluso dalla cultura e dalla vita pubblica». E l’uomo stesso viene considerato «un semplice prodotto della natura», non realmente libero e «suscettibile di essere trattato come ogni altro animale». Questa cultura, ha aggiunto Ratzinger, esclude ogni principio morale che sia valido e vincolante e rappresenta un «taglio radicale» non solo con il cristianesimo ma anche con le altre tradizioni religiose dell’umanità.
Ma l’Italia è anche, per Benedetto XVI, un terreno favorevole, perché «le tradizioni cristiane sono spesso ancora radicate» ed è «sentita con crescente chiarezza l’insufficienza di una razionalità chiusa in se stessa». I cristiani, coloro che dicono «sì» a Cristo, non vivono fuori dal tempo e se riconoscono e accolgono «volentieri gli autentici valori della cultura del nostro tempo, come la conoscenza scientifica, lo sviluppo tecnologico, i diritti dell’uomo, la libertà religiosa e la democrazia», allo stesso modo non sottovalutano «quella pericolosa fragilità della natura umana che è una minaccia» per l’uomo. Per questo, «l’opera di evangelizzazione non è mai un semplice adattarsi alle culture».
All’inizio dell’essere cristiano e dunque della testimonianza «non c’è una decisione etica o una grande idea, ma l’incontro con la persona di Gesù». Un incontro, spiega il Papa, che oggi manifesta la sua «fecondità» anzitutto «in rapporto alla ragione che ha dato vita alle scienze moderne», le quali impiegano sistematicamente gli «strumenti della matematica» per poter operare con la natura: «La matematica come tale è una creazione della nostra intelligenza». Il fatto che il libro della natura sia scritto in linguaggio matematico - aggiunge Ratzinger, valorizzando le intuizioni di Galileo - implica che l’universo stesso sia strutturato in maniera intelligente». Diventa allora «inevitabile chiedersi se non debba esservi un’unica intelligenza originaria», che sia comune alla nostra ragione soggettiva e a quella «oggettivata nella natura». I cattolici, cercando di «allargare gli spazi della razionalità», devono restituire «piena cittadinanza alla fede cristiana» nella cultura del nostro tempo. Certo, spiega ancora Benedetto XVI, seguire Cristo «non è mai facile» e la testimonianza va data «con dolcezza e rispetto», con «forza mite», ma «a tutto campo, sul piano del pensiero e dell’azione, dei comportamenti personali e della testimonianza pubblica».
Il Papa ha quindi indicato come centrale il campo dell’educazione della persona. «Occorre preoccuparsi della formazione della sua intelligenza, senza trascurare quelle della sua libertà e capacità di amare... Un’educazione vera ha bisogno di risvegliare il coraggio delle decisioni definitive», indispensabili «per crescere e raggiungere qualcosa di grande nella vita». Da qui, aggiunge Benedetto XVI, derivano i «no» della Chiesa a «forme deboli o deviate di amore e alle contraffazioni della libertà». Parole chiare e dure, riferibili ai rapporti incostanti o effimeri (deboli) e all’omosessualità (deviati). Questi «no» - chiarisce - sono dei «sì» all’«amore autentico». Ratzinger ha poi ricordato, con parole inequivocabili, il ruolo della «scuola cattolica», nei confronti della quale «sussistono ancora, in qualche misura, antichi pregiudizi, che generano ritardi dannosi, e ormai non più giustificabili, nel riconoscerne la funzione e nel permetterne in concreto l’attività».
Il Papa ha quindi parlato del servizio svolto in favore dei poveri, chiedendo che le realtà caritative di mantengano «libere da suggestioni ideologiche e da simpatie partitiche». Infine, ha ribadito l’autonomia reciproca tra Stato e Chiesa, ricordando che quest’ultima «non è un agente politico», ma rivendica il «contributo specifico» che essa può dare al bene comune. Il compito di agire in politica, invece, rimane dei fedeli laici che «operano come cittadini sotto propria responsabilità». Tra le sfide dell’oggi che il Papa segnala, ci sono le «guerre e il terrorismo, la fame e la sete, alcune terribili epidemie». Ma «occorre anche fronteggiare il rischio di scelte politiche e legislative» che contraddicano certi i principi, «in particolare riguardo alla tutela della vita umana in tutte le sue fasi, e alla promozione della famiglia fondata sul matrimonio, evitando di introdurre nell’ordinamento pubblico altre forme di unione che contribuirebbero a destabilizzarla». Un preciso riferimento ai Pacs.

Benedetto XVI ha concluso il suo discorso ricordando che solo partendo dall’«adorazione» e dalla preghiera i cristiani possono imparare a resistere «a quella secolarizzazione interna che insidia la Chiesa nel nostro tempo».

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