«Ecco come nasce un antropofago»

Il regista Peter Webber parla del film, dal 9 nelle sale, sulla adolescenza del cannibale

da Roma

Mangia spiedini di guance umane e funghi di bosco per vendicare la sorellina, cannibalizzata da criminali di guerra affamati. Desidera la zia, che cerca d’insegnargli l’arte di disporre i fiori, però lui all’ikebana preferisce la katana, perché ci ammazza ritualmente gli antropofagi. E studia medicina, per decapitare meglio le sue vittime, i carnefici della sua famiglia. È tornato lo psicopatico dal morso facile, che in Il silenzio degli innocenti aveva la faccia inquietante di Anthony Hopkins e che ora, in Hannibal Lecter. Le origini del male di Peter Webber (da venerdì nelle sale) ha il viso morboso del ventiduenne francese Gaspard Ulliel, spruzzato di sangue come un macellaio. Siccome, dopo il successo del primo Hannibal (diretto da Jonathan Demme: cinque Oscar) chiedevano al produttore Dino De Laurentiis di spiegare il perché e il percome Lecter fosse ghiotto di carne umana, ecco la risposta.
Questo thriller psicologico, tratto, come i precedenti della serie, dall’omonimo romanzo, già arrivato in libreria, di Thomas Harris (Mondadori), narra infanzia e gioventù di Hannibal, che non scorda l’uccisione di Misha, la sorellina bollita e data in pasto anche a lui, mentre nazisti e bolscevichi si combattono in Lituania. Siamo nel 1944 e intorno al castello Lecter si aggirano uomini e lupi dagli stessi famelici occhi grigi. «O mangiamo o moriamo», dicono i criminali, guardando le braccine polpose della bambina. E la roncola che finisce l’innocente trascolora in falce e martello, buoni a trasformare castello Lecter nell’orfanotrofio da cui Hannibal scappa, via cortina di ferro, giungendo a Vichy, in zona collaborazionista. Dove si rifugia da Lady Murasaki (la splendida star cinese Gong Li, dopo Miami Vice rotta alla cineglobalizzazione), la vedova dello zio, rimasta sola al mondo dopo Hiroshima...
Insomma, stavolta la Lecteriade esaspera il lato cruento della saga (Il silenzio degli innocenti, 1991; Hannibal, 2001 e Red Dragon, 2002, interpretati da Hopkins), insistendo sul caos postbellico, dal quale esce, unico vincitore, la figura semieroica dell’omicida seriale. E punta sulla cultura popolar-pulp del giustiziere. «Fateci caso: nel film il giovane Hannibal ammazza solo i cattivi», dice il produttore novantenne Dino De Laurentiis, giacca color rubino, la giovane moglie Martha al fianco e l’aria spavalda del tycoon, che difende il suo business all’arma bianca, nonostante una caduta in albergo e qualche timore, circa lo sbarco europeo del prodotto, inevitabilmente confrontato con i precedenti. «Qui, per la prima volta,c’è la costruzione di un mostro, che diventa un eroe: lui uccide gli stessi che il pubblico ucciderebbe», rincara l’ex-marito di Silvana Mangano, ricordando le mattanze di Novi Ligure e di Erba, quali «specchio della realtà che ci circonda».
Per la prima volta, Thomas Harris debutta anche come sceneggiatore, con esiti stranamente divertenti. Attratto dall’idea di togliersi di dosso l’etichetta di regista romantico, Webber (noto per La ragazza con l’orecchino di perla) spiega: «Questa è la storia di come nasce un mostro, è la creazione progressiva di Hannibal, ora al centro della vicenda, mentre diventa ciò che è». In Il silenzio degli innocenti, in effetti, il predatore omicida appariva per soli diciotto minuti, mentre qui è presente dall’inizio alla fine. Gaspard Ulliel, di persona quasi un elfo, è stato scoperto da Dino De Laurentiis, mentre, in aereo, guardava Les égarées del francese André Techiné, con lui protagonista. «Il mio è un ruolo-icona, che mi affascinava, sebbene fossi spaventato dal seguire le orme di Hopkins e sono pronto per il sequel, quando tra me e Lady Murasaki nascerà qualcosa», afferma Ulliel, con Audrey Tautou in Una lunga domenica di passioni, che gli valse il premio César.
Di fatto, tra il teenager antropofago e la zia, che venera la corazza di famiglia, va in moto a piazzare strategicamente teste mozze, marchiate a svastica e, fino a un certo punto, appoggia le vendette del nipote, l’attrazione già si vede.

E spiacerà, agli ammiratori della Gong Li di Sorgo rosso o di Lanterne rosse, delicati film di Zhang Yimou, notare come l’attrice, qui fatta discendere dalla scrittrice Murasaki Shikibu (autrice dell’epos Gengji Monogatari), abbia perso l’aura d’interprete di un certo spessore. Per acquistare la superficialità con cui, rivolta a quella bestia del nipote, sussurra frasi da spot.

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