Quando alcune centinaia di migliaia di persone - diversamente dalle cifre date dalla questura - si recano a Roma a una manifestazione organizzata dal Pdl già di per sé ciò ha un notevole significato politico. Quanto alle battute del professor Campi sull’età dei partecipanti, egli evidentemente si è sbagliato ed è andato alla manifestazione sull’acqua a piazza Navona.
La più evidente delle conseguenze politiche è che la leadership di Berlusconi e il suo carisma sono tuttora fortissimi. Ciò ha messo in ridicolo tutti quegli esponenti politici del centrosinistra - e anche taluni del centrodestra - che nei giorni scorsi dicevano che il carisma di Berlusconi era ormai al lumicino.
Il discorso di Berlusconi a San Giovanni e le reazioni «politiche» di coloro che stavano in piazza con una partecipazione militante hanno espresso alcune posizioni di fondo: la lotta per il garantismo e contro il giustizialismo, la difesa di ciò che ha fatto finora l’attuale governo anche sul terreno della politica economica, l’impegno a realizzare la riforma fiscale, per la crescita, per la coesione sociale e l’occupazione, la guardia alta sul terreno della gestione dell’immigrazione sia per il tema in sé, sia perché alcune aperture eccessive e non ben congegnate si stanno paradossalmente traducendo in un involontario ma consistente aiuto alla Lega.
Nei primi due anni di governo abbiamo importato due grandi riforme, quella della scuola e quella del federalismo. Nei prossimi tre anni va portato avanti un forte programma riformista: in primo luogo la riforma globale della giustizia, quindi la riforma del welfare e degli ammortizzatori sociali, il piano casa, quelli per le infrastrutture e per il Mezzogiorno. Contestualmente vanno fatte decollare le riforme istituzionali dove il presidenzialismo deve bilanciare il federalismo, insieme alla riduzione del numero dei parlamentari e al superamento del bicameralismo. A questo punto, però, emerge un nodo politico di fondo: secondo alcune analisi, con la fine del comunismo e del neofascismo saremmo entrati nel sistema bipartisan più classico e solo le intemperanze di falangi estreme del centrodestra e del centrosinistra intralcerebbero questo approdo ad una democrazia matura. Purtroppo le cose di fondo non stanno così. Infatti il nostro è ancora un Paese anomalo. Così come nel passato c’è stato in Italia il più forte partito comunista dell’occidente, così dopo il 1989 non c’è stata un’evoluzione «naturale» dal Pci alla socialdemocrazia e al riformismo, ma la trasformazione dal Pci al Pds-Ds-Pd è avvenuta dal comunismo berlingueriano al giustizialismo.
Se nel centrodestra non ci si misura con la qualità politica dell’attuale bipolarismo, che è un bipolarismo «selvaggio» e anomalo, si finisce per adottare teorie politologiche che purtroppo non hanno alcun rapporto con la realtà. Certamente un obiettivo significativo deve essere quello di passare da un bipolarismo «armato» e incivile ad un bipolarismo «normale», ma ciò non dipende dal centrodestra se non in misura ridotta. Infatti questa legislatura è cominciata con il discorso di Berlusconi per l’insediamento del suo governo ed è proseguita nello stesso senso fino alla sua celebrazione del 25 Aprile del 2009: tutto ciò ha avuto come risposta l’attacco selvaggio al premier ad opera di un autentico «network dell’odio» che dura da metà del 2009 ai giorni nostri.
Allora per raggiungere l’obiettivo del bipolarismo «normale» è necessario che il Pd si affranchi dall’egemonia esercitata su di esso da Di Pietro e da alcuni gruppi finanziari-editoriali.
Non a caso speravamo in Bersani sulla base dell’ultimo congresso del Pd, ma per molti aspetti quel congresso è già stato annullato a partire dalle primarie pugliesi. Ci auguriamo che la sua ispirazione di fondo possa essere recuperata dopo le elezioni regionali e che Bersani riesca ad andare oltre la demagogia economicista che finora ha caratterizzato i suoi discorsi. Oggi c’è un blocco politico e sociale maggioritario nel Paese fondato sull’alleanza fra il Pdl e la Lega, due forze insieme alleate e diverse (non vediamo rischi di omologazione).
Bisogna anche aggiungere che, come ha dimostrato la manifestazione di San Giovanni, oggi il popolo di centrodestra può essere mobilitato solo da Berlusconi e dalla piattaforma da lui espressa. Chiarito questo elemento basilare, esso non è di impedimento alla possibilità che venga portato avanti il tentativo di realizzare - anche d’intesa con i settori ragionevoli dell’opposizione - profonde riforme istituzionali a partire da quella fondata sullo sviluppo del federalismo fiscale e sul suo bilanciamento attraverso il presidenzialismo e la velocizzazione dei lavori del Parlamento attraverso la riforma dei loro regolamenti. È in un quadro politico chiaro che si può recuperare parte della riflessione di Giuliano Ferrara a proposito del ruolo di Fini rispetto al rilancio di un’operazione riformatrice. Ciò può avvenire a condizione che essa abbia alle sue spalle un retroterra politico-culturale né ambiguo, né terzaforzista: non esiste un centrodestra alternativo alla piattaforma portata avanti da Berlusconi, anche perché essa è l’unica che mobilita e aggrega il popolo, altrimenti si corre il rischio dell’astensionismo o del voto alla Lega.
Allora è evidente che il Pdl, senza surrogati e sigle improvvisate, è la forma-partito essenziale per questa leadership e questa linea politica. Proprio le capacità politico-organizzative del Pdl mettono in evidenza che si tratta di un soggetto politico dalle potenzialità tuttora non pienamente sfruttate e anche con punti deboli da superare. Comunque dopo la prova positiva del 20 marzo, saranno decisivi i risultati delle elezioni regionali. Dopo di essi, quale che sia il risultato, va aperta una riflessione sul Pdl, sul suo modo di essere, sulla sua democrazia interna anche perché siamo convinti che, di fronte alla acutizzazione dello scontro politico, pure un leader carismatico come Berlusconi ha bisogno di avere alle spalle un forte partito-movimento.
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