Ecco perché Berlusconi è «costretto» a tifare per il successo di Baffino

RomaLe carte rimangono ancora in mano. E prima di vedere chi ha il punto più alto, ce ne passa. È una partita complessa, quella che vede Massimo D’Alema giocarsi il posto di ministro degli Esteri Ue. Non solo perché non è l’unico nome in lizza, tra i papabili del Pse: vedi l’inglese David Miliband, laburista di 44 anni, che potrebbe voler vendicare la bocciatura di Tony Blair alla presidenza. Serve cautela. Lo fa capire Pierluigi Bersani, il neo segretario del Pd: «Intanto bisogna vedere come si muovono le cose a livello europeo, perché la vicenda non è certo conclusa». E lo ammette il diretto interessato: «Ci sono molti candidati, anche autorevoli, saranno giornate complicate». Senza contare che l’appoggio del governo all’esponente democratico suona già - dentro il Pdl di vecchia sponda Forza Italia - come un «tradimento» nei confronti di Antonio Tajani. L’attuale commissario ai Trasporti e vicepresidente della Commissione, che al momento rimane, per ammissione di Franco Frattini e Mario Mauro, «il candidato certo» per il posto italiano nell’esecutivo comunitario.
Detto questo, dinanzi a una casella di prestigio, come quella di Mister Pesc, Silvio Berlusconi - a tratti a malincuore, visto che senza la mediazione di Gianni Letta, vero artefice dell’operazione, in linea con il Quirinale, non avrebbe di certo fatto il primo passo - non può che appoggiare l’ex presidente dei Ds. Per diverse ragioni. Tanto per cominciare, il sostegno a un italiano, a prescindere dal suo nome, gli permetterebbe di rivendicare, in campagna elettorale, il proprio «senso di responsabilità». Potrebbe così rimarcare, durante comizi e interviste per le Regionali, quanto segue: mentre noi amiamo l’Italia, dall’altra parte continuano a gettare fango sul premier, di conseguenza sul Paese intero.
E poi: il via libera farebbe riavvicinare i due, che sotto sotto mantengono da anni un rapporto politico altalenante di amore-odio. Un tentativo per «smorzare i toni», visti gli attuali rapporti pessimi, a causa dell’annuncio dalemiano di «scosse» giudiziarie. Senza dimenticare che, in generale, la sinistra sarebbe messa «spalle al muro», con meno cartucce da sparare da qui a marzo. Anche se i sicuri affondi alle toghe rosse, che Berlusconi ripeterà, non aiuteranno la ricerca di quel «dialogo» con l’opposizione, tanto auspicato dalle colombe in volo sopra Palazzo Chigi. Insomma, il Cavaliere, che al tavolo fa sponda diretta con Gianfranco Fini, il primo a sondare di persona D’Alema per l’incarico - «sbarazzandosi così di un ostico avversario per la successione, nel 2013, a Giorgio Napolitano», dicono i maligni - potrebbe ottenere vantaggi concreti. Anche se non incasserà mai il sì incondizionato dei democratici alla riforma della giustizia. Sarebbe troppo il «rischio inciucio», ne uscirebbero a pezzi, altro che accuse di mancata soluzione al conflitto d’interessi dell’uomo di Arcore. In serata il leader della Lega Umberto Bossi, intervenuto a Pecorara (Piacenza) a una festa di Halloween in salsa padana assieme al ministro dell’Economia Giulio Tremonti, ha ironizzato: «È l’uomo giusto, visto che il comunismo sta rinascendo nei Paesi dell’Est. Intanto l’Europa non ci permette di tagliare le tasse».


È ancora presto quindi per tracciare conclusioni. Di certo, chi non ha toccato finora palla è la Farnesina, dove non si nasconde sottovoce la «sorpresa»: «Siamo stati tagliati fuori, eravamo un po’ all’oscuro». Per fare luce, anche in questo caso, rivolgersi a Letta.

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