Ecco perché conviene puntare sui nostri bond

Se avesse detto «Generali», o «Fiat» o «Mediaset» lo avrebbero imbavagliato durante la registrazione di Porta a Porta e portato via i Carabinieri. Ma il ministro Tremonti non ha commesso reati né ha alterato il funzionamento dei mercati perché non ha parlato di azioni, ieri in tivù. Ma ha consigliato a tutti di acquistare i vecchi titoli di Stato: «Comprate Bot, Bpt e Cct italiani, sono i migliori del mondo».
Certo, a pensarci bene non c’è molta differenza tra l’amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, che andasse da Vespa per dire di comprare le sue azioni, e il ministro dell’Economia che suggerisce i Bot: egli altro non è che l’«amministratore delegato» dell’azienda-Italia, laddove i Bot altro non sono che i titoli emessi per finanziare tale azienda. Ma c’è una differenza: quei titoli sono già di tutti noi italiani, anche qualora non ne possedessimo alcuno. Perché? Ma perché rappresentano il debito pubblico, il debito dello Stato, e lo Stato siamo noi. Semmai si potrebbe offendere un tedesco, o un inglese. Ma a ben guardare, nemmeno. E perché? Ma perché Tremonti ha detto una grande verità: i titoli di Stato italiano sono un affare mai visto, in questo momento. E questo vale anche per tedeschi, francesi, cinesi, birmani: se vogliono fare un affare comprino anche loro Btp, Cct e Bot.
La questione è semplice. Un’obbligazione (di Stato o meno) è composta di tre elementi: prezzo, rendimento e rischio. Il prezzo è il capitale che noi prestiamo a chi ci vende l’obbligazione. Il rendimento è il tasso d’interesse che noi accettiamo di ricevere a fronte del rischio di non rivedere quel capitale in caso di fallimento del nostro venditore. Dunque qui stiamo parlando di prestare il nostro personale capitale allo Stato-Italia. Il rischio di non riaverlo è uno solo: la bancarotta del Paese. E Tremonti, ieri, non ha fatto altro che ricordare che il rischio di fallimento dello Stato Italiano è ben bassino.
In ogni caso non è certo maggiore di quello della Germania: Berlino ha sì un Pil maggiore del nostro (2.530 miliardi contro 1.580), dei tassi di crescita migliori, e un debito pressoché uguale (ancorché minore rispetto al Pil: 65% contro il 105%). Ma non c’è nessuna ragione per pensare che abbia meno probabilità di fallire. Le sue, come le nostre, e come tutte quelle dei grandi Paesi occidentali, sono vicine allo zero. Eppure sul mercato i titoli di Stato decennali tedeschi a tasso fisso (Bund) rendono poco più del 3%, mentre quelli italiani (Btp) oltre il 4,40% (entrambi al lordo delle imposte). Il rischio di cambio non c’è: sono entrambi in euro. In altri termini, a parità di rischio, il Btp nostrano rende 140 punti base (o l’1,4%) di più del Bund (non cambia molto se si guarda a scadenze diverse o ai Bot). Sostiene Tremonti: non c’è nessun motivo valido perché ciò avvenga, dunque comprate i titoli italiani, prima che se ne accorgano tutti gli altri. E noi ci sentiamo di dargli ragione.
L’affare potrebbe essere anche più ghiotto: dal momento che il rendimento è il rapporto tra la cedola e il prezzo, in vista di un calo dei tassi (ieri la Bce ha tagliato lo 0,75%) chi compra a questi prezzi i Btp che sono già sul mercato, vedrà i rendimenti scendere, e dunque le quotazioni dei propri titoli salire.

Il che avverrà, prima o poi, avverrà anche per l’effetto Bund: quando questa irrazionale bufera sarà passata, il titolo italiano tornerà a rendere come quello tedesco. Come? Attraverso la crescita delle sue quotazioni, perché tutti lo cercheranno. E il guadagno, per chi è stato lungimirante, sarà ancora maggiore.

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