di Gian Marco Chiocci e Massimo Malpica
Elisabetta in Fini non lo sa, ma è bene che lo sappia: il pm perugino Alessandra Duchini, titolare della nuova inchiesta sugli immobili dei Tulliani che l’ex fidanzato Luciano Gaucci reclama come suoi, è lo stesso pubblico ministero che all’epoca dell’inchiesta sulla bancarotta del Perugia Calcio s’era convinto che quegli stessi appartamenti erano finiti ai Tulliani con una vendita «fittizia» pianificata dal presidente Gaucci per sfuggire ai creditori. Ne era talmente convinto che invano chiese di intercettare il telefono della ragazza. Il gip rispose picche ma concordò sulla richiesta di sequestro di quelle case, provvedimento poi ribaltato dal tribunale del Riesame che dissequestrò il tutto affidandosi alla «prova» esibita al tempo dai ricorrenti: il contratto di compravendita e quant’altro. Già, perché all’epoca i Tulliani non erano chiamati a dimostrare la provenienza dei soldi per l’acquisto. Serviva il pezzo di carta autenticato dal notaio, occorreva dimostrare di essere una persona terza, realmente esistente, e basta. Quattro anni dopo siamo daccapo. Ora che sulla reale riconducibilità delle case è subentrata una violenta controversia dovute alla confessione di Gaucci; ora che nel procedimento civile pendente a Roma Lucianone ammette d’aver dato a Ely tre miliardi di lire oltre a numerosi immobili che a suo dire i Tulliani gli avrebbero scippato; ora che più testimoni sono pronti a giurare che a giocare la schedina del superenalotto (che sarebbe alla base delle fortune immobiliari dei Tulliani) non fu Elisabetta bensì l’ex amato presidente; ora che Gaucci proprio su quella schedina incriminata ha scoperto la sua firma in calce «a dimostrazione di chi effettivamente giocò e vinse i due miliardi di lire»; insomma, ora che il tappo è saltato la parola passa al pm che invano inseguì i Tulliani ma che alla fine bastonò solo Gaucci e i suoi figlioli sostenendo che l’intero patrimonio era da confiscare perché comunque riconducibile al dissesto del Perugia Calcio. L’assioma copernicano del pm Duchini era infatti quello che tutte le società satellite ruotassero intorno al Perugia, e che dunque la comune malagestione finanziaria significava che tutto era sequestrabile, dunque anche i beni personali dell’ex presidente.
E così, ai sensi dell’articolo 321 del codice di procedura penale, nel 2006 il pm ritenne di porre i sigilli a tutti gli appartamenti della società Katape di Gaucci ubicati in via Raffaele Conforti 52 a Roma, dove abitano i Tulliani, nello stesso comprensorio e al medesimo numero civico, dove vivono Fini e signora. E questo perché, a leggere la richiesta al gip, vi era una correlazione fra ciò che era il reato contestato (la bancarotta fraudolenta) e le proprietà immobiliari conseguite in quella strada. Il problema di allora si ripropone nel 2010, sull’origine dei soldi, riguardando non solo gli immobili di via Conforti ma tutti quelli elencati da Gaucci nell’atto di citazione contro Elisabetta: se la Tulliani dimostrerà al centesimo che sono suoi i soldi utilizzati acquistare le case Gaucci reclama, nulla quaestio. In caso contrario, il rischio per la compagna del presidente della Camera di perdere pezzi del patrimonio si fa serio perché, seguendo la logica del pm, per coerenza anche i beni dei Tulliani andrebbero configurati come il frutto di una eventuale distrazione nell’impero del mattone di Gaucci. Così, il 10 aprile 2006, il pm Duchini nella richiesta di sequestro preventivo: «... per aver compiuto simulate operazioni di dismissione dei beni personali (vedasi ad esempio la vendita degli immobili siti in Roma in via Conforti 52 da Luciano Gaucci a Katape Srl di cui risulta amministratore unico Gaucci Riccardo) con le aggravanti di aver cagionato un danno patrimoniale di particolare gravità». Oggi la Tulliani dice che le case le ha comprate coi soldi della vincita (contestata) al superenalotto. E che Gaucci mente perché l’appartamento dove attualmente dimora è provato che era della società Valbo Srl «e che il miniappartamento acquistato dalla Katape, di cui sono proprietari i miei genitori e non io, non è attualmente oggetto di azioni giudiziarie perché una sentenza della Cassazione ha già accertato la legittimità dell’acquisto». Che venne formalizzato, stando a quanto riportato l’8 marzo 2006 da Luigi Giuliano, difensore dei genitori di Elisabetta, non con i soldi della schedina della figlia ma «con i proventi del Tfr del signor Tulliani appena andato in pensione».
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