Cronache

Ecco perché i cacciatori sparano a Bambi

Ecco perché i cacciatori sparano a Bambi

(...) piemontese: anche qui, infatti, è aperta da tre giorni la caccia ai caprioli ritenuti in eccesso: 566 capi, per l'esattezza, di cui 233 cuccioli. Si tratta di una procedura standard, usata un po' in tutta Italia, ma è destinata a suscitare polemiche per la ingente quantità di animali coinvolti. L'abbattimento dei caprioli, che potrà avere luogo in valle Stura a Tiglieto, Mele e Voltri e in valle Scrivia a Ronco, ha un preciso tariffario: 53 euro per i cuccioli, 78 per le femmine, mentre costa di più uccidere i maschi: 103 euro per gli esemplari giovani e 155 per gli adulti. «Si tratta di autorizzazioni e deroghe di una portata più che esagerata - tuonano Lega Abolizione Caccia, Enpa e wwf Liguria -. L’abbattimento di caprioli era iniziato in provincia di Genova nel 2001 in modo sperimentale, per soli due mesi l’anno e solo in Valle Stura per 40 capi a stagione».
In attesa di verificare se anche la pioggia di piombo genovese susciterà le stesse polemiche di quella piemontese, è il momento di tirare le somme della settimana in cui i bambi sono stati, loro malgrado, al centro della scena mediatica, e magari di sentire anche qualche voce fuori dal generale coro di indignazione. Perché è vero che è difficile resistere agli occhioni e alla naturale eleganza di animali come il capriolo, ma forse è giusto ricordare che spesso i danni all'agricoltura e ai boschi provocati da questa ed altre specie non sono trascurabili. E allora può anche darsi che chi ha intenzione di imbracciare la doppietta non sia animato soltanto da perfidia gratuita, come nella miglior tradizione favolistica.
A spiegarlo al Giornale è Daniele Vivaldo, che vive nell'entroterra savonese, precisamente a San Pietro d'Olba nel comune di Urbe, e che si occupa spesso di fatti e problemi di campagna per il mensile L'Eco di Savona e Provincia. Il caso mediatico dei caprioli di Acqui Terme, per Vivaldo, nasce da un equivoco culturale: «Il fatto è - spiega - che se non si ha un minimo contatto con la realtà della campagna, se non la si è vissuta, non è facile capire quanto possano essere dannosi gli ungulati quando sono in quantità eccessiva». Ed ecco spiegato il perché di una protesta «sicuramente animata dalla buona fede, ma che ha la colpa di fermarsi alle apparenze».
Ma allora quali sono i danni che possono essere provocati da una massiccia presenza di caprioli? Secondo Vivaldo, la lista è lunga. Ma basta far riferimento al fatto che questi animali sono ghiotti di germogli: «Il bosco ceduo, quello che dev'essere tagliato ogni 30-40 anni perché gli alberi non crescano esageratamente, in molti casi non riesce a ricrescere proprio per l'intervento di daini e caprioli che stroncano sul nascere il rigenerarsi delle piante. Questo significa - è la preoccupata conclusione - che, di questo passo, vaste aree delle nostre montagne rischiano di rimanere prive di vegetazione, con i danni idrogeologici che si possono facilmente immaginare».
Molto meno catastrofiche, ma assai seccanti le conseguenze delle razzie dei bambi sui fiori dei giardini e sulle erbe coltivate negli orti: «Dalle nostre parti, ma mi risulta che sia un problema diffusissimo un po' in tutta l'area tra Liguria e Basso Piemonte, negli ultimi anni tra gli agricoltori è in atto una specie di corsa alla recinzione. Staccionate sempre più alte, forti ed elaborate per evitare, o almeno limitare, l'intervento di caprioli e daini, con l'intuibile investimento di tempo e denaro da parte di privati cittadini». I rimedi, in questo caso, possono diventare estremi, ed è già accaduto che agricoltori sull'orlo dell'esasperazione abbiano fatto ricorso al cosiddetto «pastore elettrico», cioè il recinto attraversato da corrente.
Ma non è solo la ricerca di cibo da parte degli animali a crucciare il mondo contadino. Secondo Vivaldo, i caprioli «sono portatori di una gran quantità di parassiti, soprattutto zecche, e non è così infondato il rischio che possano attaccarli ad animali domestici o, in alcuni casi, anche all'uomo». Infine, non bisogna dimenticare che si sta parlando di un tipo di animale che prolifera in robuste quantità, ed è quindi facile che, senza accurati controlli delle nascite, si possa arrivare a situazioni insostenibili per chi vive di agricoltura e finir costretti, come nel caso dell'acquese, a far ricorso al fucile.
Dura realtà.

Che, purtroppo, è assai più complicata e sicuramente meno poetica di una bella favola come quella del cerbiatto Bambi.

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